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domenica 1 gennaio 2023

Sake, pesci e il nuovo anno

Un giorno un tale mi domandò:"Sapete che significa l'uso di gettar via il sake rimasto in fondo a una tazza?". Io risposi: "Siccome far ciò si dice gyodo, suppongo significhi gettar via ciò che aderisce [gyo] al fondo [do]". L'altro rispose:" No, non è così: si tratta della parola gyodo [via dei pesci], perché il sake rimasto in fondo alla tazza lava il punto toccato dalle labbra".

Approfondendo attraverso le note, apprendo che in passato il sake, torbido, non si beveva tutto, ed era usanza lasciare la parte più torbida nelle tazze. Essendo queste di piccole dimensioni, venivano riempite più volte, ma senza risciacquarle: gettando via il sedimento, si procedeva quindi anche al risciacquo del punto della tazza venuto a contatto con le labbra. La via dei pesci menzionata allude al fatto che per tornare alle acque di origine i pesci ripercorrono la stessa via già percorsa quando se ne allontanarono. La ragione per cui si usava questo vocabolo per indicare il gettar via i fondi di sake sta nel fatto che bisognava fare in modo che i fondi facessero come i pesci, cioè rifacessero la strada già percorsa quando si era bevuto in precedenza, così da lavare il punto dove erano state applicate le labbra.

I due termini gyodo, omofoni ma scritti con kanji diversi, sono all'origine di questo passaggio di "Ore d'ozio" di Kenko, mia lettura abituale al primo dell'anno e che ogni volta mi colpisce con un passaggio diverso, preso da uno degli oltre duecento quaranta aneddoti, uniti solamente dal fatto di essere pensieri, per quanto futili possano essere, che sono passati per la mente dell'autore. Questa raccolta è considerata il capolavoro dello scrittore più importante dell'epoca Kamakura, vissuto a cavallo tra il 1200 e il 1300, grande filosofo appartenente ad una famiglia dell'alta burocrazia imperiale, che, attraverso la sua prosa di grande impatto poetico, è in grado di fornire delle stupende fiammelle che aiutano ad illuminare il percorso di un qualsiasi cammino.

Leggere le sue "frivolezze" è per me sempre uno spunto di riflessione, su qualsiasi cosa scriva, e fonte di una linea di azione che mi piace assumere per il nuovo anno, qualcosa di diverso dalla più classica lista dei buoni propositi, e più simile ad un rinnovato approccio alle cose, alla vita. 

Come l'autore vorrei quindi assumere quell'atteggiamento che mi permetta di non dare per scontato qualcosa solo perché l'abitudine mi porta a agire, nel senso di fare o di pensare secondo schemi e (pre)concetti applicati acriticamente, in modo da poter cogliere qualcosa di più, profondo o personale, da una qualsiasi azione della vita quotidiana, e poter meglio comprendere almeno le attività che più caratterizzano le mie passioni e le relazioni tra le cose e le persone. 

Inizia un nuovo anno e vorrei poterlo trascorrere all'insegna della comprensione del significato anche solo del più piccolo "perché" e cercare quindi di poter percorrere questa nuova tappa del mio cammino in maniera più consapevole.

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lele bo



Fonti:
- Immagine da https://it.wikipedia.org/wiki/Yoshida_Kenk%C5%8D
- Ore d'ozio, Kenko







sabato 1 gennaio 2022

LUNA NUOVA

Si devono forse ammirare i fiori solo quando sono in pieno rigoglio e la luna solo quando è tersa? Sospirare alla luna sotto la pioggia o star chiuso in casa per non veder declinare la primavera, questo ci comunica un'emozione profonda, che turba. Osservare un ramo che sta per fiorire o un giardino di fiori appassiti suscita una commozione ancor più viva. Se [...] leggiamo "Quando andai per contemplar i fiori essi erano già caduti" oppure "A causa di un contrattempo non potei contemplare la fioritura dei ciliegi" [...], c'è forse in esse minor incanto che si fosse scritto "Vedevo i fiori..."? I fiori che cadono e il tramontar della luna sogliono riempire l'animo di melanconia. Eppure solo qualcuno dal cuore totalmente insensibile potrebbe dire: "Questo [...] ramo ha i fiori appassiti: non c'è più nulla che valga la pena di essere visto". Così è per molte cose, solo il principio e la fine suscitano interesse. [...] Ma dobbiamo contemplare la luna e i fiori solo con gli occhi? Al contrario, anche senza uscire di casa, [...] proprio il pensare alla luna e ai fiori ci offre un piacere delizioso. In genere non amo rileggere i libri, ma Ore d'ozio di Kenko è ormai diventata una eccezione tradizionale nel primo giorno dell'anno. Un po' perché trascinato da quella atarassica forza che solo questo giorno sa dare, in cui opero una certa forma di riazzeramento totale, fisico e mentale, un giorno fuori dal tempo ma in cui tutto scorre tra un passato e un futuro che si fondono in armonia, un giorno in genere passato tra le mura domestiche ma nel quale l'isolamento non pare pesare. Come Kenko amava fare "nelle (sue) ore d'ozio, seduto davanti al calamaio, annotando giorno dopo giorno, senza alcun motivo particolare, ogni pensiero che gli (passasse) per la mente, (procurandogli) una sensazione davvero strana, simile a una lieve ebbrezza", io mi ritrovo invece di volta in volta stupito novello protagonista di questo o quel passaggio, ma tutte le volte con rinnovate vesti. Paragrafi che sembrano essere particolarmente pertinenti nei tempi attuali si susseguono senza sosta, come se Kenko fosse un autore contemporaneo. Proprio questa sua capacità di catapultarmi a cavallo di epoche diverse mi sorprende con quella caratteristica "lieve ebbrezza". In fondo non è difficile essere felici e godere del momento preciso: nella situazione attuale in cui possiamo essere ancora incupiti per quel che potrà riservarci il futuro per le nostre relazioni, attività, interessi, le sue parole risuonano potenti nel farmi ricordare che le emozioni che ho vissuto non sono solo ricordi del passato, ma sono quella parte di me, e vorrei sperare e augurarmi di tutti noi, che mi permette di godere nuovamente di quei delicati sapori che riaffiorano leggeri alla memoria quando richiamati da altri segnali anche fuori contesto. Quasi una coincidenza, stanotte sarà luna nuova ma la sua completa assenza non può che farmi tornare in mente tutte le lune piene che mi sono attardato ad osservare o i rami spogli di quell'acero che ha ormai smesso quel suo appariscente vestito rosso solo per indossarlo un pezzo alla volta ancora fra qualche mese. E l'assenza di luna non è forse il mezzo per poter osservare i mille altri astri spesso timidamente nascosti dietro i suoi argentei potenti raggi? E allora posso anche vedere una mancanza come qualcosa di complementare ma positivo, rendendomi conto anche di quanto altro esista, ma a cui magari non faccia caso, per abitudine o per fretta. Siamo ancora tutti chiusi in casa, alcuni lamentano limitazioni e restrizioni, e sicuramente non possiamo più godere della stessa libertà di qualche anno fa, ma avendo potuto vivere quello specifico attimo in passato, non è questo un motivo perlomeno per non lasciarsi andare alla tristezza? Non che voglia vivere di ricordi o di fantasia, ma la sensazione di quella singola esperienza vissuta in prima persona ritorna con tutta la sua prorompente vivacità anche quando meno me lo aspetti, e mi ritrovo a pensare di essere grato di aver saputo vivere quel momento con consapevole pienezza, magari chissà quando. Un momento che ha lasciato impresso qualcosa nella mia coscienza permettendomi di inebriarmi nuovamente con quelle deliziose sensazioni che non sono mai un ricordo di un passato sinonimo di tristezza e rimorso, ma una vivace lente attraverso cui vedere il presente con rinnovati colori. Non vorrei essere come quell'insensibile che vede solo il ramo spoglio, senza trasporto, e spero che questo possa accompagnarmi nel nuovo anno.

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lele bo

Fonti: - Immagine da https://svs.gsfc.nasa.gov - Ore d'ozio, Kenko




domenica 23 agosto 2020

HAIBUN: PENSIERI E SENSAZIONI DI UNA CORSA NELLA NATURA

[ immagine da vesnaarmstrong.blogspot.com ]

Liberamente ispirato ad una delle più note opere di Thoreau[1], ma senza velleità alcuna, mi sono ritrovato in questa prova tecnica di haibun, un resoconto di viaggio scritto in prosa alternata ad haiku, riscoprendomi brevemente immerso nella natura e realizzando come in una frazione di tempo decisamente minima rispetto anche solo alla vita intera, la mia mente si sia messa a  vagare libera attingendo ai mille insegnamenti che nel tempo i molti sensei, senpai, istruttori e insegnanti, autori e scrittori, capi e manager al lavoro, e ognuno vorrà o saprà riconoscersi, mi hanno dato, direttamente o indirettamente, attraverso insegnamenti, consigli, conforto, suggerimenti, sprone, scritti, esempi, indicazioni, verso il continuo tentativo di miglioramento attraverso il cammino su una via olistica che coinvolge mille discipline e non solo.

In poco meno di un'ora, a differenza degli oltre due anni trascorsi da Thoreau nei boschi, si sviluppa un viaggio comunque incredibile durante il quale la mente si è lasciata andare in un continuo di pensieri, realmente "staccando" dal mondo e aprendo una breccia gestaltica forzata dall'essere solo, sotto sforzo e libero: un breve racconto a ruota libera basato su un'esperienza insignificante come una corsa che si rivela invece quasi catartica, e dopo una stesura di getto, lasciandomi anche perplesso rispetto alla vita e ai suoi molti significati. Non ritengo ci sia molta profondità nelle parole che seguono, piuttosto pensieri in libertà che si susseguono dettati da un singolo dettaglio esperienziale, ma l'esperimento haibun sembra comunque essere valido per una più attenta focalizzazione su alcuni aspetti che spesso mi sfuggono, o ai quali non voglio forse pensare coscientemente.

. . .

Stanno appena sfumando le prime tenue luci dell'alba nel più completo silenzio ma sono già fuori, immerso in quella piacevole sensazione, che a qualcuno spesso provoca quasi un malcelato fastidio, caratteristica della mancanza di esseri umani e dei loro rumori. Vedo nuvole basse, accompagnate dal tipico odore che preannuncia pioggia, e mi chiedo chi me l'abbia fatto fare. È ancora quasi buio, non so cosa mi aspetti, metereologicamente parlando, ma la decisione è presa, e si va.

Non ho l'abitudine di ascoltare musica durante queste sessioni, mi piace concentrarmi sul respiro e scandirlo contando e dandomi il ritmo con inspirazione e espirazione: riesco quindi a sentire i primi tintinnanti rumori di stoviglie nelle poche casette sparse appena fuori dal centro abitato, impossibile non vedere con gli occhi della fantasia un caffè fumante riscaldare le mani dei primi a svegliarsi, chissà con cosa lo accompagneranno. E mentre un piccolo sentiero, il mio sentiero, si apre davanti a me, il perché io sia lì fa udire sempre più insistentemente i suoi profondi battiti sulla mia coscienza.

Sono solo, eppure...[2]

Mi sembra abbia cominciato a piovere, ma mi rendo conto che sono solo le foglie smosse dalla brezza mattutina che lasciano cadere il loro prezioso carico di rugiada: è sempre una sensazione piacevole e le infinite perle costituiscono un insperato dono soprattutto nelle giornate più afose, un inaspettato regalo portato da uno sconosciuto che apre ancora di più il cuore.

Un sommesso trapestio nell'erba, tra i cespugli a bordo strada, troppo vicino e troppo leggero per causare un qualsiasi senso di allerta, ma comunque sempre vigile con una sorta di enzan no metsuke, e dopo pochi metri, non senza una particolare piacevole sorpresa, salta fuori un piccolo coniglio con il suo saltellante incedere, quasi a volermi accompagnare anche se a debita distanza, per sicurezza, che con l'uomo non si sa mai.


innanzi a me,

dal guardo di orione

fugge la lepre


Un campo si apre davanti me, lo ricordo ricoperto di verdi spighe già diventate dorate, mosse dal vento come un mare diverso, ma che ora lascia spazio alla triste visione della sola brulla terra arata: sembra un karensansui, ampi solchi che come onde si perdono verso l'orizzonte ma che lasciano una diversa sensazione quasi come di devastazione. Ma non è un ciclo della vita anche questo? Perché non poter gioire anche per quello che verrà, senza rimanere bloccati sui piaceri del passato? La mente comincia a correre con mille pensieri, l'essenza del qui e ora dovrebbe pervadere l'esistenza stessa, e in fin dei conti, cercando bene, c'è sempre qualcosa, in qualsiasi momento, per cui essere grati.


la spiga verde

cambiando il vestito

dona la vita


Il sentiero è sempre più stretto, non essendo particolarmente frequentato, e il senso di abbandono da parte dell'uomo e di riappropriazione della natura è dimostrato da una sua larghezza che ormai non supera i venti centimetri, sottile stringa biancheggiante in mezzo a rigogliose erbacce e cespugli di varia natura ai lati. Canne slanciate mi offrono le loro foglie come delicate manine quasi a voler "battere un cinque" per il senso della compagnia e della vicinanza, e passando troppo rasente al bordo un robusto filo d'erba si aggrappa alla mia caviglia: nella solitudine di questo percorso, è tremendo pensare cosa significhi essere davvero soli, come tanti realmente sono, dimenticati ma non dimentichi del mondo che li circonda, se anche la più reietta delle erbe infestanti sembra tendere una mano al passante occasionale, quasi come a chiedere di restare ancora un po', per favore, ma che poi con garbata gentilezza lascia infine sfilare via la perduta occasione di un contatto, di una parola, di un gesto. Mi sembra ci sia più umana sensibilità in questa sensazione che non nella mancanza di un semplice gesto di saluto in risposta a quello che non manco mai di offrire alle poche persone che incontro su questi percorsi, per una sorta di abitudine al reiho, all'etichetta, lasciandomi sempre sgomento al pensiero di quanto in realtà siamo lontani gli uni dagli altri, nonostante le solite frasi fatte che oramai spopolano sui social senza alcun senso per placare la nostra coscienza, ma senza sentirne, o peggio, applicarne, il significato. Ma non mi va di farmi trascinare nelle cose che fanno gli altri, altrimenti, infine, diventerei anche io gli altri[3].


solitudine.

grata per la carezza,

perfino l'erba


In quanto uomo, con tutta la mia importanza autoreferenziale, sembro non volermi accorgere di essere ben poca cosa quando paragonato alla natura: un'ape mi raggiunge, mi sfiora una spalla, continua il suo viaggio quasi sicuramente senza neanche rendersi conto dalla mia presenza, mentre io resto terrorizzato per un attimo, come lo sono sempre quando vedo un insetto. Non sono nulla, probabilmente solo un'ostacolo da superare, forse neanche diverso da un palo o da un tronco, e questo mi riporta un po' più con i piedi per terra, a realizzare come il pensiero cosciente che abbiamo sviluppato, sicuramente un vantaggio evolutivo ineguagliato in natura, abbia forse creato quei classici mostri che non si rendono più conto di quale sia la realtà, chiusi in inconsistenti castelli di carte, per quanto immensi e lussuosi, dove vigono regole che ci siamo scritti da soli per risultare sempre vincenti e scarsamente indicative invece di un confronto con gli altri, dal quale si può uscire vincitori o sconfitti, ma sicuramente più ricchi e più forti.


al suo lavoro

inconsapevolmente.

fiori d'estate


Lontano, davanti a me, non troppo lontano da una casetta, una figura particolarmente familiare si staglia sul bordo del sentiero, con i suoi colori in netto contrasto con il paesaggio, e la forma e l'atteggiamento che rendono immediatamente riconoscibile un piccolo felino acquattato. Amo i gatti, ma nonostante ciò preferisco cambiare lato per non alterare il suo stato di beata quiete, e per rispettare chi sia arrivato prima di me cerco di passare lontano facendo il minor rumore possibile, ma a niente serve il mio rispettoso comportamento nei confronti del guardingo animale, che senza distogliere un attimo lo sguardo dalla mia figura, controllando ogni mio movimento, fugge quatto per cercare un posto più sicuro. Mi spiace sempre quando un animale mostra paura nei miei confronti, ma mi rendo conto di quanta diffidenza e timore possiamo causare, noi esseri sedicenti superiori, e di come sia comunque meglio da parte loro, nel dubbio, prevenire azioni che possano rivelarsi particolarmente sgradevoli. Dopo tutto, è un atteggiamento universale: non mi resta, passando, che lo spiacevole ricordo triste di due occhi gialli nei quali pare riflettersi la preoccupazione per la propria incolumità, lasciandomi il dubbio di chissà come vedano il mondo, e soprattutto l'umanità, o forse sarebbe meglio dire la mancanza di umanità, che purtroppo molti, troppi, hanno dovuto conoscere.


sempre in veglia

nell'afa estiva.

rapido passo


Non essendo troppo distante dai centri abitati, sento in lontanza il lugubre rintocco di una campana a morto, che mi riporta crudelmente alla realtà di una situazione che mai avrei pensato avrei dovuto vivere. Dopo aver perso un inverno e una primavera, l'estate ha portato un po' di rigenerante apparente freschezza, ma non è che un dito dietro il quale nascondersi per non voler vedere cosa stia accadendo. Nella più generale espressione di un egocentrismo che caratterizza solo il genere umano, con lo sgomento di vedere gente che non pare interessarsi minimamente del proprio vicino per soddisfare solo la propria esigenza di misera libertà espressa dal non mettere una mascherina, non assembrarsi e soprattutto prendersela con maleducata veemenza con chi faccia notare la loro mancanza di responsabilità, il suono della campana mi fa precipitare in uno stato di sconforto che vorrei poter urlare in faccia a questa gente che non è possibile definire come esseri umani[4]. Quanti, hanno perso affetti e conoscenti, eppure io sono qui, con una natura intorno che sembra benevola, e tutto sembra solo un orribile incubo d'impotenza: ma si tira avanti, nonostante le campane, nonostante la tristezza, di tutto se ne fa ragione prima o poi, cercando di gioire di quello che si ha, o che, nella più triste delle evenienze, sia rimasto. Cosa succederà, in un senso o nell'altro, sarà karma[5].


strada deserta,

un singolo rintocco

echeggia cupo


La natura intanto pare assorbirmi, passo dopo passo. Il rumore pesante sullo sterrato che mi rimbomba nelle orecchie riportando alla memoria le sensazioni della ricerca di un unione col mondo attraverso le percussioni, di cuori che vibrano all'unisono per realizzare una cosa sola, e non importa che qui sono solo, è pieno invece di vita con cui interagire. E su questi pensieri l'occhio si posa su entrambi i lati del sentiero, che intanto si va allargando, dove fiori violacei ne indicano il bordo, monocromatiche rappresentazioni naturalistiche delle segnalatiche catarifrangenti stradali ma che non danno idea del verso di marcia, come se la direzione fosse la sola unica cosa importante: probabilmente Ambrette (Knautia Arvensis), chissà, sono un uomo di plastica, cittadino convinto che si meraviglia di fronte a questi incontri naturalistici, la cui mente vola spesso per improbabili associazioni di immagini, passeggera di treni di pensieri che portano in tutt'altro tempo e luogo, e che adesso mi fanno pensare a quanto non sia poi così importante andare o venire, giusto o sbagliato, ma solo progredire, come una natura selvaggia che non si preoccupi di quale verso prendere, eppure vive, combatte, muore, anche lei spesso incurante di tutto e di tutti, conquistatrice di spazi abbandonati che a lei comunque servono, o si fa bastare. Se solo fossi capace anche io di accontentarmi di quello che ho, senza quella ricerca tipica dell'uomo per il superfluo: a volte mi chiedo davvero come mi sarei potuto trovare in epoche storiche passate con la conoscenza del cosiddetto benessere attuale.

E mentre continua questo piccolo viaggio, mentre lo sguardo segue ipnotizzato i fiori sul bordo, il piede scansa automaticamente qualcosa di nero lucente, un altro insetto che non si potrebbe curare di meno della mia esistenza e presenza, sul cui carapace si riflette un raggio di sole, ormai già sufficientemente alto e caldo: è un attimo, la mente costruisce un'immagine molto più rassicurante e familiare, mostrandomi invece la lucida lacca della saya mentre lo scintillio di quel piccolo riverbero accende la subitanea azione di un nukitsuke immaginario, di quell'acciaio che uscendo dalla sua calda dimora di legno sviluppa istantaneamente tutta la sua fredda potenza senza lasciar traccia del suo intento, brillando improvvisamente alla luce.


freddo acciaio

riposa nella saya.

poi, un lampo


Eseguo uno scarto improvviso, automatico, per evitare il piccolo essere che ignaro della mia presenza avrebbe potuto finire la sua esistenza senza neanche accorgersene, e questa imprevista rottura di un'abitudine di un passo ritmato ormai dall'automatismo mi fa risvegliare dal torpore riportandomi alle considerazioni di coloro che mi hanno insegnato i concetti della postura, e lo sgomento nel realizzare come la stanchezza mi abbia fatto dimenticare come si stia in piedi, o seduti, in maniera corretta, anche solo per l'ergonomia del movimento e non necessariamente solo per l'etichetta, come ci si muova, come vada tenuta la testa e lo sguardo, e mi dispiaccio di non riuscire ad essere sempre mentalmente presente. Mi dispiaccio ancora di più perché realizzo che il comportamento non è acquisito, è evidente che debba ancora pensare e correggere, anni di pratica svaniscono immediatamente, soprattutto quando fuori dall'ambito di applicazione standard o quando vittima di fatica fisica. Non nascondo quanto sia davvero sconfortante, e mi resta la consolazione di pensare che questa consapevolezza possa comunque portare alla costante correzione. La fatica non deve prendere il sopravvento, se conosco me stesso[6] so come resistere, quando e come recuperare, e la vittoria sarebbe comunque quella di aver superato un ostacolo: riconoscere l'errore e la debolezza è già un primo passo verso un miglioramento. Sgomento dopo sgomento, un folto gruppo di girasoli che emerge dal verde mi appare come fossero gli obiettivi di fotografi a bordo pista, pronti ad immortalare un'azione epica: ma non c'è niente di minimamente interessante in quello che sto facendo, non corro certo per farmi vedere da qualcuno, e una nuova tristezza mi pervade, facendomi sentire piccola cosa, nel realizzare quanto spesso si facciano cose solo per apparire, dimentichi del vero senso delle azioni, fatte per se stessi e per perseguire i propri obiettivi di crescita personale, tanto migliori, credo, quanto più lontani dagli occhi degli altri. Sono caduto in un altro trabocchetto della mente, il corpo stanco alimenta sogni sbagliati, ma il percorso è ancora lungo, e posso rientrare sulla retta via. 

Lontano nei campi vedo corvi razziare quello che possono, in casuali gruppi sparsi anche se in fin dei conti ognuno è per sé, e mi ritrovo a sorridere di un bell'esemplare che mi ritrovo dietro ad un curva, che sembra attendere il mio passaggio con una spiga nel becco, gradita quanto improbabile immagine di un'offerta a chi abbia meno di cui godere: l'afa si fa sentire minando la resistenza, il mio corpo comincia a dare segni di sofferenza e quella spiga mi sembra rinfrescare lo spirito, se non altro, della fatica. Mi ritrovo a fare un piccolo cenno di ringraziamento e gentile rifiuto e il battito d'ali della corvina figura che si alza allora in volo mi porta una sensazione di fresco refrigerio, quasi una folata che cambi il foglio su cui si è appena posata una morbida pennellata. 


gracchia il corvo

tra bianche margherite.

goccia d'inchiostro.


Le ombre cominciano ad accorciarsi, al pari del mio passo, sinonimo di un sole che corre veloce (Copernico, abbi pietà di me, è solo un senso figurato) al contrario del sottoscritto: è mai possibile che un'enorme inerte massa di terra e acqua riesca muoversi così velocemente senza averne coscienza e senza fatica? Ricordo qualche legge della fisica e ciò in effetti non può stupirmi. Oltre ad essere un bizzarro pensiero, in realtà, al contrario della nullità dell'uomo che dopo poche ore di movimento diventa invece vittima di un decadimento prestazionale notevole: per quanto possa essere atleta affermato, dovrà sempre fare i conti con il proprio fisico e con la propria mente, con i molteplici segnali che il più sviluppato sistema cerebrale complesso comparso finora sul pianeta gli invii per mantenere l'integrità e garantirgli la sopravvivenza. Molti strani pensieri continuano ad affollarsi nella mia mente quando il sole è già alto, ma sono ormai arrivato al termine del percorso, rientrando nella zona abitata e con un qual certo senso di sollievo per stanche membra che ricomincino a godere della liscia pietra del lastricato che mi riporterà a casa.

Sul bordo del fiume, dove il vento tira sempre gradevole, un'altrettanta invitante panchina solitaria sotto l'ombra di un gigantesco albero che non so identificare mi offre un temporaneo ma gradito ristoro. Guardo finalmente l'orologio, è passata solo meno di un'ora, una frazione infinitesimale di tempo rispetto a quello del mondo, ma a rileggere queste parole, che non sono neanche esaustive delle sensazioni provate in questo breve giro, mi sembra passato invece un tempo indeterminabile: evidentemente sono riuscito a staccare la mente e a lasciarla vagare un po' da sola, fuori dal tempo. Lo ritengo già un bel risultato di cui essere felice.

E godendomi gli ultimi istanti di fresco prima di rientare, un altro insetto mi si posa sulla maglia, mi assale ancora quella sensazione di angoscia che questi piccoli animali riescono a creare, ma voglio resistere e fare finta di niente, in fondo è innocuo e non mi dispiace l'idea di poter restituire in parte quello che mi è stato offerto nel poco tempo appena trascorso.


su una spalla

condivide un'ombra

la coccinella



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l'inchiostro e la spada




Riferimenti:

[1] - Henry David Thoreau : Walden 

[2] - Kobayashi Issa : Il mondo di rugiada, è un mondo di rugiada; eppure…

[3] - Charles Bukowski : E quando si tende a fare le cose che fanno tutti gli altri si diventa tutti gli altri.

[4] - Charles Bukowski : Passai accanto a duecento persone e non riuscii a vedere un solo essere umano.

[5] - James Clavell - Gaijin

[6] - Sun Tzu : L'arte della guerra