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giovedì 25 aprile 2019

ARTE NEL TEMPO DI UN RESPIRO


Riprendendo il tema affrontato nel post "Spada e pennello, strumenti della stessa arte", vorrei spingermi oltre con un parallelo tra arte della spada e poesia, più specificamente l'haiku, breve componimento poetico di 17 sillabe, o meglio unità fonetiche di base, on, caratterizzato dall'assenza di rime, da un ritmo creato da 3 soli versi da cinque, sette e cinque "sillabe", occidentalmente parlando, e da un'immediatezza e spontaneità disarmanti per descrivere vividamente immagini spesso legate alla natura. Derivato da altre forme poetiche più articolate, affonda le sue radici nel V/VI secolo e come tutte le forme d'arte ha subito molteplici variazioni per arrivare alla forma e al nome con cui è conosciuto oggi non senza essere passato attraverso le più svariate interpretazioni di correnti fino alle avanguardie più spinte che ne hanno profondamente cambiato l'essenza per spirito, metrica e temi trattati, complice anche la diffusione in occidente e quindi l'uso di altre lingue.
Le regole di composizione di un haiku sono tutto sommato semplici, come descritte nell'articolo  "L'haiku, un attimo di vita che diventa poesiadi Carlo Sappino, che, nell'elencare quali siano i punti chiave di questa arte compositiva, riesce a restituire in maniera concisa, tipica dell'haiku appunto, la forza di tali composizioni celata dietro alcuni semplici punti.
La semplicità e la naturalezza saranno temi che ritorneranno nel paragone tra arte poetica e della spada: l'articolo termina con una selezione di componimenti di Matsuo Basho (1644-1694), il sommo poeta giapponese la cui immagine è circondata ancora oggi da un'aura di sacralità, figlio di samurai che dedicherà gli ultimi 12 anni della sua vita alla peregrinazione attraverso il Giappone, eremita errante che si sposta apparentemente senza scopo, dispensando saggezzza ai poeti che incontra sulla sua strada, in una ascesi che passa attraverso la fusione con le piccole cose della natura e con il fluire dei suoi tempi. Difficile non pensare immediatamente ad un'altra figura parimenti evocativa di artista errante più noto ai praticanti dell'arte della spada, quel Miyamoto Musashi, vissuto circa un secolo prima, che percorse il Giappone per maturare la sua arte marziale e che affiancò nel tempo pittura e prosa lasciandoci quel testo fondamentale che è Il libro dei cinque anelli, a dimostrazione di quanto le arti siano comunque interconnese e basate su principi del tutto simili.
A differenza della poesia occidentale, la brevità dell'haiku è tale da richiedere un solo respiro per il suo compimento, esattamente come un kata di Iaido, e da qui nascono tutte le similitudini tra le due arti. Il necessario distacco dal sé tipico dell'arte della spada trova il suo omologo nella capacità di una personale e profonda osservazione di un attimo che lascia sgorgare un'immagine, resa in testo, unica, coinvolgente, naturalmente profonda ma non ricercata, la cui immediatezza e tale e quale all'efficacia di un taglio.
Il renga, una delle forme compositive progenitrici dell'haiku, è caratterizato da un proceso di stesura definito johakyu, letteralmente inizio, rottura ed enfasi, ossia quella modulazione di movimento e azioni che accompagnano una varietà piuttosto eterogenea di arti, tra cui la cerimonia del te, il kendo (e lo iaido) e il teatro no. Luca Cenisi ci ricorda come tale termine derivi dall'arcaico gagaku, musica elegante, che non può non portare alla mente del praticante la necessità di ricercare l'armonia, e quindi l'efficiacia dei movimenti, mentre al non praticante fornisce quel senso di appagamento che dona l'osservazione del bello, a prescindere dalla comprensione tecnica.

Cenisi riporta come il maestro Zeami o Kanze Motokiyo, nel 1300, associasse in maniera altamente poetica il processo dello johakyu allo scorrere di un fiume, sostenendo che jo fosse il gentile ruscelletto che entra nella corrente, ha il fiume impetuoso che scorre in mezzo ai picchi della montagna e kyu il tuffo di un'imponente cascata che si riversa in un profondo e quieto lago. Nello iaido johakyu caratterizza l'intera esecuzione di un kata, ma si manifesta, proprio come nelle stanze di apertura del renga, già dal momento dello sfoderamento, inizialmente lento, progressivamente più veloce, per terminare con la massima velocità che caratterizza il taglio che inizia nel momento esatto in cui la spada lascia il fodero. È tutto un concatenarsi di azioni precise ma armonizzate in un gesto continuo, profondo, efficace.
Tra i caratteri essenziali di un haiku ritroviamo, a differenza della poesia occidentale, l'assenza del titolo, lo schema metrico 5-7-5 e il kireji, ovvero un carattere o segno d'interpunzione che divide la composizione in due emistichi distinti, giustapposti o a creare una sospensione del discorso poetico.
L'assenza del titolo riporta ai valori fondamentali, alla quiete interiore e ai sentimenti più profondi veicolati attraverso il sentimento naturalistico, kikan: conta solo il presente, solo l'attimo in cui è possibile cogliere le molteplici risonanze del reale. Come nell'arte della spada, non c'è spazio né tempo per l'analisi e lo studio delle conseguenze, ma bisogna mettere tutto lo spirito, il cuore, il kokoro, per dare tutto se stessi in quell'istante unico in cui si decida di intraprendere un'azione, il "qui e ora" caratteristico della filosofia zen che si intravede in tutte le arti giapponesi o, usando le parole di Alan Watts, l'essere completamente coinvolti con quello che si stia facendo nel qui e ora.
Lo schema metrico 5-7-5 richiama la regolarità e l'irregolarità delle manifestazioni naturalistiche, dimostrando nel tempo qualità armoniche e simmetriche molto più adattabili allo spirito dell'haiku. Manifestazioni come l'armonia e la disarmonia che, in simbiosi con l'uomo, costituivano i due momenti fondamentali del pensiero taoista, e che richiamano quindi immediatamente al significato letterale dello iaido, l'arte dell'estrazione della spada, ovvero la via (do) dell'unione (ai) dell'essere (i), il cui scopo ultimo è infatti la perfetta ed armonica unione con se stessi e con l'Universo.
Il kireji invece, il carattere che taglia, produce uno spazio vuoto (ma) destinato a produrre nel lettore una certa risposta sentimentale, un riverbero del senso e dei sentimenti, ossia ciò che va oltre le parole, in un processo circolare, che partendo da uno spazio concreto, rigetta le suggestioni da questo prodotte in una dimensione estetica profondamente spontanea e veridica, per il tempo strettamente necessario all'emissione di un respiro. Difficile non vedere l'analogia con la subitaneità del taglio del kendo o dello iaido, con la ricerca del proprio spazio e della propria distanza, e con lo zanshin (il momento di concentrazione e controllo di un avversario dopo l'esecuzione di un'azione) che riporta il praticante ad uno stato di quiete attenta e pronta che permetterà di iniziare un nuova azione istantanea.
Un haiku deve fare riferimento alla realtà vissuta dall'haijin (un Maestro o poeta esperto), al suo presente, riflettendo l'idea secondo cui il pensiero deve procedere di pari passo con il moto perpetuo dell'attimo, in sincronia e senza tentennamenti. Studiando il Manuale dello Iai della Zen Nippon Kendo Renmei è frequente imbattersi in espressioni simili a "eseguire il taglio senza esitazione": non c'è tempo per pensare, non c'è tempo per fermarsi, il movimento del corpo deve fluire costantemente facendo muovere la spada di conseguenza e creando quindi la condizione per il taglio efficace, nell'unico momento adatto per la corretta esecuzione, nel presente del qui ed ora, e che soprattutto non implica velocità, frenesia o forza.
L'etichetta, reiho, o per meglio dire il modo corretto di fare le cose, e l'eleganza di posture e movimenti, shisei, sono caratteri fondanti dell'arte della spada: si ripete spesso come tutto inizi e finisca con il saluto, che non simboleggi una superficiale manifestazione di educazione, ma un lavoro completo sulla persona, ovvero la ricerca di una migliore adesione alla via, do: analogamente, nella creazione di un haiku, il termine furyu, nell'accezione di buone maniere, intende il riflesso della rettitudine sociale, raffinatezza ed eleganza, e che grazie alla scuola di Basho, prese ad indicare la via da seguire per cogliere appieno  la scintilla creativa, zoka, insita in tutte le cose, incarnando un cammino di ricerca, al contempo artistica ed esistenziale, che procede per successivi gradi di affinamento fino a portare l'autore a maturare un interesse diretto e sincero del proprio poetare, indipendentemente dalle proprie idee e dai propri pensieri, mu-shin. Esattamente come per l'arte della spada in cui si cerca di abbandonare il dualismo vittoria-sconfitta, il sé e l'avversario, la spada e la non spada, per cercare di raggiungere quello stato per il quale si possa vincere ancora prima di poter estrarre la spada. È la quintessenza di quest'arte marziale, in cui la spada non è né più né meno che un mezzo attraverso il quale esprimere se stessi cogliendo quel singolo istante fondamentale per la vittoria, che nell'ambito della composizione dell'haiku potrebbe essere interpretata come il distacco soggettivo che permette di vedere qualcosa che colpisce la sensibilità riuscendo a usare un altro attrezzo, penna o pennello, per catturare una sensazione che viene condensata in quel minimo di diciassette sillabe che rapide come un fendente nella scherma colpisce il cuore e la mente del lettore. In entrambi i casi è necessario che la mente non si fermi sugli oggetti, in modo da non venirne contaminata e potendo quindi essere usata al meglio: è necessario poterla lasciare libera affinché possa correre dove vorrà. E proprio perché libera a tal punto saprà quindi cogliere con quelle poche sillabe un battito di vita dell'universo: come riporta la Dal Pra, Roland Barthes scrisse che  "l'arte occidentale trasforma l'impressione. L'haiku non descrive mai: la sua arte è anti-descrittiva nella misura in cui ogni stadio della cosa è immediatamente, caparbiamente, vittoriosamente trasformato in una fragile essenza di apparizione". Come la Luna che si riflette nelle acque dello stagno di Hirosawa, non dovremmo essere preoccupati di fermare il pensiero su un'azione, calcolandone quindi l'efficacia, quanto piuttosto riuscire ad entrare in sintonia con noi stessi, con l'universo e, nel caso dell'arte della spada, con l'avversario.
La naturalezza è quanto caratterizza tali arti, al di là di ogni classificazione o ragionamento, senza premeditazione e senza pensieri in osservazione dei tre pensieri che regolano la vita secondo naturalezza:
  • l'avanzare senza esitazioni: espressione della necessità di superare ogni blocco, sia materiale sia volitivo, e di lasciarsi andare ad un più autentico slancio di spontaneità in ogni manifestazione di vita
  • il non agire: regola di un'attenta e costante ricettività nei confronti del mondo circostante, per purificare la propria mente da ogni intenzionalità che miri al conseguimenro di qualcosa, tangibile o astratto che sia
  • la semplicità: intesa come mancanza di affettazione, propria di una naturalezza, che, per essere realmente tale, eviti ogni artificio o espediente

Così come gli haiku di Basho catturavano un attimo di natura, senza fronzoli, interpretazioni o artefatti, così come il suo pennello scorreva senza pensiero o secondi fini sulla carta per restituire al lettore quella singolare esperienza minimale, impressa in un testo preciso e fulmineo come un taglio, l'arte della spada diventa l'equivalente in altra forma della capacità di esprimere la naturalezza del gesto. E quante volte i nostri sensei si sono soffermati su questo consiglio. Camminare, inchinarsi, voltarsi, tagliare, niente di più che l'espressione di quei tre principi alla base della naturalezza che dovrebbero essere tesoro dell'artista marziale così come di qualsiasi artista, qualità da perseguire e affinare nel tempo e con l'esperienza, con la pratica e con lo studio. Non a caso la vita del samurai era basata sulle regole del bushido, la "via del guerriero", una sorta di codice cavalleresco che includeva anche regole di vita sociale, e in tempi più moderni trasformato nel concetto di budo che letteralmente significa "via che conduce alla cessazione della guerra attraverso il disarmo", caratteristica invece delle arti marziali giapponesi, tra cui appunto quella della spada. 
Arti marziali che oggi non formano più un guerriero, ma una persona che forgia il proprio carattere e il proprio cuore attraverso uno studio a tutto tondo e che, come puntualizzato durante il kangeiko CIK di Iaido del 2018 deve essere caratterizzato dalla sincerità, makoto, delle proprie azioni, come atleti, praticanti, insegnanti e soprattutto come persone in relazione con gli altri.
 [ "Makoto", calligrafia di Mikawa Sensei ]
Per illustrare quanto sia profondo il significato di makoto basti pensare che è il termine associato ad una delle sette pieghe dell'hakama, parte inferiore dell'abito tradizionale dei nobili e dei samurai e indossata ancora oggi in molte arti marziali, simile ad una gonna pantalone. Ancora una volta concetto che trova la sua controparte nella composizione poetica come forza rivelatrice traducibile come fatto che si realizza pienamente: è quella forza espressiva caratteristica di un haiku che permette di esprimere sentimenti e sensazioni senza farne diretta menzione, lasciando che fluiscano mediante un processo di suggestione che nasce, ancora prima che dalle parole, dal silenzio che le precede e le circonda. Il poeta deve abbandonare se stesso, ossia creare quel vuoto o sospensione dell'io dove ogni sensazione è viva, ma al contempo indefinita, unica ma parimenti condivisa. Abbandonare se stessi significa rivolgere altrove la propria attenzione, verso l'esterno su un soggetto concreto o un'azione, oppure diffusa e non focalizzata sul nulla: rivive quindi degli stimoli esterni e li lascia andare come l'immagine dello specchio su cui momentaneamente si fermano immagini riflesse che poi spariscono perché lo specchio non le trattiene. Secondo Basho, elemento centrale in questo processo di abbandono del sé è proprio makoto, per il cui raggiungimento esistono due vie, la pratica (poetica) e il divenire un tutt'uno con il pensiero del Maestro, per il quale makoto è al contempo un valore profondamente umano, etico e morale, intimamente legato a quella sincerità che deve guidare lo spirito del poeta durante tutto il processo creativo, magokoro, ovvero cuore sincero.
Nel cercare un parallelo tra haiku e spada ci si perde tra le sovrapposizioni, e non dovrebbe quindi stupire che le diverse arti, marziali e non, fossero alla base dell'educazione dei nobili e soprattutto dei samurai: ci si può perdere dietro allo studio dell'haiku, con i suoi mille requisiti, diversificazioni e interpretazioni tipiche delle "cose" giapponesi, codificate fino al minimo particolare, ma comunque caratterizzato da una pratica costante e continua così come per l'arte della spada, alla ricerca di se stessi e dei migliori valori morali e sociali, i cui principi sono prefettamente riassumibili nell'incipit che indica tale arte come la via della ricerca della perfezione come essere umano attraverso l’esercizio dei principi della spada.
Pennello o spada, arte o combattimento, aspetti diversi di una sola via volta al perseguimento del miglioramento continuo.




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l'inchiostro e la spada



Fonti:
- Il pennello e la spada. La via del samurai, di Leonardo Vittorio Arena
- La luna e il cancello, di Luca Cenisi
- Il libro dei cinque anelli, di Musashi Miyamoto
- Haiku, il fiore della poesia giapponese da Basho all'Ottocento, a cura di Elena dal Pra
- Collegamenti riportati nel testo, citazioni e note nei testi consultati



lunedì 17 dicembre 2018

SPADA E PENNELLO, STRUMENTI DELLA STESSA ARTE

L'arte della spada è stata spesso accompagnata da altre arti, dalla poesia alla pittura alla scultura: i samurai, nell'immaginario collettivo feroci guerrieri, coltivavano oltre alle arti marziali anche arti zen come quella del the o della calligrafia, e non a caso c'è stato chi ha tradotto il sostantivo bushi, altro termine con cui si identificano i guerrieri e i samurai, con la definizione di coloro che hanno la capacità di mantenere la pace, con la forza militare o letteraria. Non è possibile combattere senza una strategia e non si può vincere senza avvalersi di una teoria, così i samurai coltivavano l'arte e la lotta come discipline distinte ma complementari: la lettura dei classici della letteratura e della poesia giapponese, la meditazione filosofica e religiosa, la scrittura di versi erano considerati esercizio sterile se separato dalla vita, dall’azione guerresca, e quest’ultima sarebbe divenuta senza scopo e destinata alla sconfitta se privata della conoscenza. La via maestra per un vero samurai era, dunque, quella del pennello e della spada.

Se l'arte della spada era fondamentale, non solo per la sopravvivenza, ma come vera e propria via anche verso l'illuminazione tanto che famosi monaci zen ne erano padroni e maestri, arti che richiedevano l'uso del pennello non erano da meno rispetto alla spada: la calligrafia, o shodo, la via della scrittura, richiama con il suffisso -do una pratica intesa come percorso, una pratica con influssi buddisti che permette l'affinamento della sensibilità e del perfezionamento del sè. L'arte della scrittura costituisce un insieme composto da nozioni e conoscenze storiche, stilistiche, formali, e un processo di apprendimento e di applicazioni di tecniche, e la cui pratica permette l'espressione di stati d'animo e di sentimenti così come la collaborazione e l'instaurarsi di corrette relazioni sociali e di lavoro.
Per il praticante dell'arte della spada, kendo o iaido, si ravvisano immediatamente le somiglianze con i Principi del Kendo come enunciati dalla Zen Nippon Kendo Renmei, e non stupisce quindi che le somglianze tra spada e pennello siano spesso riportate in numerosi scritti e trattati.
I segni con il pennello possono essere decisi o incerti, veloci o lenti, sottili o spessi, ma contengono sempre una forza che tradizionalmente viene definita ki, traducibile approssimativamente in energia vitale: volendo esprimere in altri termini questo concetto si può dire che l’istantaneità della calligrafia permette di registrare un ritratto del cuore , kokoro,  del calligrafo. Sulla carta viene tracciato un percorso che sgorga dalla sua interiorità: la composizione che ne risulta è basata su rapporti proporzionali, ritmi, equilibri, pieni e vuoti, e tali caratteristiche non possono non destare l'attenzione del kendoka o dello iaidoka che spesso sente dire, o riporta lui stesso, che la spada deve essere usata come un pennello.
Musashi, il più celebre spadaccino giapponese vissuto a cavallo tra il 1500 e il 1600, straordinario maestro indiscusso della spada, era anche esperto di psicologia così come di scultura, pittura e calligrafia: autore del celebre testo Go rin no sho, Il libro dei cinque anelli, criptico capolavoro sull'arte della spada, scrisse il testo ovviamente con il pennello, ed è interessante notare come le caratteristiche della sua scrittura offrano molti indizi relativi al carattere dello spadaccino. Sfortunatamente non esistono copie originali del testo, ma è sopravvisuto un memorandum (oboegaki), scritto appena prima del Go rin no sho, contenente i principi essenziali che il maestro lasciò al suo studente: scritto in corsivo, permette di vedere dove Musashi intinse il pennello nell'inchiostro attraverso tratti più umidi e scuri, come pure dove i caratteri scoloriscano gradualmente in segni più secchi ma altrettanto decisi. Scriveva 13 o 14 caratteri prima di intingere nuovamente il pennello nell'inchiostro, e il graduale rilascio dell'inchiostro senza perdita di potenza è assimilabile alla forza di un corridore da lunghe distanze sostenuto dal vento, in grado di permettergli di muoversi senza finire il fiato. La linea vitale, kimyaku, non è mai interrotta e le colonne di caratteri sono precise sulle linee verticali, risultato di una profonda attenzione senza distrazioni: tutto ciò è da considerarsi più di un segno di forte energia, un riflesso della sua tendenza di tutta una vita nel perseguire la perfezione. Perfino le linee più sottili risultano essere affilate come una lama, e le colonne verticali di testo sembrano respirare con un senso dinamico del ritmo, una potenta forza proattiva che Musashi stesso chiamava appunto ritmo, hyoshi. La sua calligrafia è stata definita viscerale e ancora il praticante dell'arte della spada non potrà non ravvisare i concetti alla base di uno shiai, un combattimento: la difficoltà di mantenere la linea vitale tra i caratteri incolonnati è l'equivalente della sopravvivenza nello scontro, rappresentando il riflesso delle proprie abilità nell'utilizzo del pennello come fosse la spada della mente.
L'analisi della calligrafia di Musashi riflette appieno le tecniche di spada che caratterizzano l'arte della spada:
  • colpi (pennellate) potenti e controllo del ritmo: il segreto di pennellate forti ben armonizzate tra segni spessi e sottili richiedono buona osservazione e controllo del respiro.
  • bilanciamento dinamico con movimento imprevedibile: bisogna essere capaci di catturare il più impercettible dei movimenti in un tratto quando il pennello cambia direzione. L'energia è potente ma con una tempistica perfetta, con una consapevolezza permeante che permetta di vedere cosa sia vicino come lontanto, e cosa sia lontano come vicino.
  • concentrazione affilata come un rasoio: la sfida è riuscire a mantenere una linea costante e affilata a prescindere da quanto sottili stiano diventando i caratteri, risultato di come si maneggi il pennello e dell'attenzione mentale.

Per il praticante dell'arte della spada risulta difficile non cogliere le differenze tra spada e pennello, strumenti interscambiabili con i quali esprimere il carattere, la passione e la concentrazione, attraverso movimenti che richiedono anni di studio e perfezionamento.
Nel libro della Terra, primo trattato ne Il libro dei cinque anelli, Musashi afferma che quella del guerriero sia la doppia via del pennello e della spada e che ogni samurai dovrebbe avere una certa conoscenza di entrambe. (...) In passato l'arte della spada era considerata una delle Dieci Abilità ed era annoverata tra le Sette Arti come pratica salutare, ma (...) l'autentico significato dell'arte della spada non può essere limitato ad una tecnica nell'uso delle armi. (...) È come separare il seme dal fiore e attribuire valore soltanto al fiore. (...) Secondo un vecchio adagio veritiero, una conoscenza superficiale è più dannosa dell'ignoranza.
I principi che Musashi elenca per coloro che vogliano seguire la via della spada includono il non coltivare principi sleali, la realizzazione attraverso la pratica, l'istruzione in tutti i campi dell'arte, lo sviluppo del giudizio intuitivo e l'apprendimento della percezione di ciò che non si può vedere, il non trascurare i piccoli particolari e il non fare cose inutili. 
Spada o pennello? Lo spadaccino e l'artista leggeranno in tali insegnamenti i fondamentali della propria via, che sembra essere effetivamente la stessa.

Seguace di Takuan Soho, maestro zen della scuola Rinzai, Musashi adotta molte similitudini e immagini tipiche del suo maestro, profondamente ammirato da molti samurai e signori locali (daimyo), la cui calligrafia riflette un carattere che non vede separazione tra pensiero ed azione: non è un caso quindi che i testi del suo più famoso discepolo spadaccino sia denso di significati che attingono alla profondità dell'insegnamento Zen. Musashi ci insegna il colpo della non mente ovvero libero da ogni pensiero, un colpo effettuato con spirito, corpo e mani senza pensare, vibrato con la forza del Vuoto, senza calcolo, senza piano, ma sola pura azione e la cui comprensione richiede pratica molto assidua. Ci insegna ad espandere corpo e spirito in modo che i fendenti siano portati con lentezza e sicurezza imitando con il corpo lo scorrere dell'acqua, e la tecnica del "sol colpo" definendola come quella che assicura la vittoria, esortando il lettore praticante all'esercizio costante nell'apprendimento della via, grazie al quale la strategia emergerà infine dal cuore permettendo di conseguire la vittoria quando lo si vorrà.
È difficile poter scindere la pratica della spada da quella del pennello attraverso questi insegnamenti e la stessa analisi grafologica della calligrafia di Musashi rivela il carattere dello spadaccino come sia possibile evincere dalla lettura de Il libro dei cinque anelli.


Spada o pennello, percezione, cuore e azione, gli insegnamenti, la pratica e la sovrapposizione tra le due arti restano quindi chiaramente alla base dei molti modi di dire che le accomunano, come complemento l'una dell'altra nella ricerca introspettiva che entrambe le discipline alimentano attraverso la costante pratica quotidiana.
Come termina quasi ogni capitolo de Il libro dei cinque anelli di Musashi, è importante riflettere attentamente su queste cose.



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l'inchiostro e la spada


Fonti:
Gli ideali del samurai, William Scott Wilson
- Shodo: La via della scrittura, Bruno Riva
- Il pennello e la spada, Leonardo Arena
- Il pennello è la spada della mente - Musashi, William Reed
- Il pennello è la spada della mente - Takuan Soho, William Reed
- Il libro dei cinque anelli, Musashi Miyamoto



martedì 8 maggio 2018

YOSHIOKA - TINTORI E SPADACCINI DEL GIAPPONE FEUDALE

Mi sono avvicinato a questo libro incuriosito dal binomio "tintori e spadaccini": gli Yoshioka non erano certo una
famiglia dal nome sconosciuto, in quanto la loro storia è intrecciata, tra le altre, alle gesta di Miyamoto Musashi, oltremodo note agli appassionati di storia giapponese e ai praticanti di arti marziali, soprattutto le arti della spada. Avendo già incontrato questo nome, essendomi appassionato alla tintura con tecnica shibori e praticando Kendo e Iaido, le arti della spada, il testo non poteva che destare la mia attenzione. 

Il libro, scritto da Satoru Matsumoto, è in grande formato, particolarmente agevole nella lettura da impegnare tranquillamente e piacevolmente un fine settimana lasciandosi trasportare dalla fantasia tra gli aneddoti, storicamente commentati, degli eventi di spada che hanno caratterizzato la vita di questa famiglia.
Ma con un po' di stupore però, sul tema "tintori" non viene detto molto, lasciando un minimo di insoddisfazione al termine della lettura. Vero che il clan Yoshioka è forse rimasto nella storia per le arti tintorie più che per quelle delle spada, ma è quasi essenzialmente di queste che si parla, ed inoltre con profondi, frequenti e costanti riferimenti ad un altro personaggio, tra realtà e leggenda, vissuto in quegli stessi anni, tra il 1500 e il 1600. Non è certo possibile parlare di delusione, in quanto il testo di Satoru costituisce una bella ed accurata analisi storica che si sviluppa con una narrazione avvincente, ma non romanzata, considerando gli scritti a favore degli Yoshioka da una parte, e dei Minamoto Shinmen (la famiglia di Musashi) dall'altra, nel raccontare le vicende d'armi intercorse tra i due clan.

Le Gesta degli Yoshioka erano già note dalla lettura di un altro testo più commercialmente famoso, quel "Musashi" di Eiji Yoshikawa che non può certamente mancare nella libreria di un kendoka. In un passaggio si legge di una donna che affermava che chiunque sa che alle persone che frequentano la scuola Yoshioka piace indossare abiti di quel colore marrone scuro. Si chiama tinta Yoshioka ed è molto popolare da queste parti. Questo dettaglio in effetti si perde tra i numerosi avvenimenti della vita di Musashi, ma gli Yoshioka restano comunque nell'immaginario del lettore del romanzo di Yoshikawa in quanto sconfitti da Musashi, che decreta la fine della famiglia e della loro scuola. Dopo qualche anno, la passione per la tintura con tecnida shibori mi ha riportato sulle tracce degli Yoshioka, con questo nuovo testo, che speravo colmasse qualche lacuna su questa famiglia di tintori e spadaccini: ma la storia dei tintori è molto marginale, con un paio di riferimenti lungo tutto il libro rispetto al più complesso corpo delle alterne vicissitudini che vedono gli Yoshioka, già conosciuti tintori, diventare importanti e rispettati maestri d'arma alle dipendenze degli shogun Ashikaga per poi finire nell'oblio quasi totale dopo l'incontro con Musashi.
Nonostante questo, alcuni riferimenti alla maestria tintoria sono riportati nel testo di Satoru, illuminando il lettore appassionato di tintura e di spada con i seguenti passaggi:
  • Il clan Yoshioka... (fu) il primo dei tintori che crearono un colore marrone scuro ed esso fu conosciuto come "tintura Yoshioka". L'attenersi correttamente e costantemente ad una regola è chiamato kenbo (o kenpo)... Da quando il fondatore della famiglia Yoshioka fu capace di riprodurre esattamente lo stesso colore ogni volta, la tintura, anche successivamente, fu conosciuta come kenbo (o kenpo) -zome. Questo tintore imparò l'arte della spada e chiamò il suo stile Yoshioka-ryu, la quale [arte] è ancora praticata al giorno d'oggi" (tratto Honcho Bugei Shoden, 1714, citando un testo dallo Yoshufu-shi). ... Questa scuola era uno dei famosi otto stili occidentali di Kyoto, conosciuti come Kyo-Ryu o Kyo hachy ryu.
  • I fratelli Yoshioka originari di Kyoto erano famosi per la loro  scuola di spada, una scuola senza precedenti nel passato e nel presente per la sua abilità tecnica... e vanno annoverati tra i più forti [spadaccini] della storia del Giappone, anche se nei documenti storici vengono ricordati prevalentemente a causa della sconfitta con Musashi. Il loro dojo era stato chiuso da parecchio tempo rispetto alla stesura di documenti affidabili; molti scritti della loro scuola andarono perduti... gli esponenti cambiarono attività economica tornando a fare i tintori, e anche i discepoli diretti e i vari allievi probabilmente erano tutti morti. Di loro, solo il ricordo rimaneva ormai al volgere della fine del 17° secolo.


Curioso invece il parere opposto offerto sulla tintura dal testo "Japanese Costume and Makers" quando illustra i generali processi di tintura identificati dal suffisso -zome (da someru, tingere) tra i quali elenca ovviamente anche il kenbo-zome: una colorazione marrone-nera utilizzata principalmente per i kimono maschili da cerimonia, molto aggressiva per il materiale tinto, causandone marcescenza e rottura dopo circa una cinquantina d'anni, tempo ritenuto in Giappone come un cattivo indice per una buona tintura. Era una tintura minerale estratta da materiale ferroso e suggerita dalla
Tooth blackening - Kunisada
pratica di un'anziana donna che usava tingersi di 
nero i denti, con un pezzo di ferro bagnato nell'aceto (nda: ohaguro, denti neri, è una moda tradizionale giapponese che prevede di tingersi i denti con dell'inchiostro nero; pratica tradizionale sin dall'antichità, nel periodo Edo tornò a riguardare solamente le donne, con la differenza che era praticato anche dalle classi sociali povere ed indicava che una donna fosse sposata).

L'invenzione di tale tintura fu erroneamente attribuita a Yoshioka Kenbo ... ragazzino che lavorava nelle tintoria del padre, appartenente ad una famiglia di importanti tintori. Il ragazzino era solito uccidere le mosche che volavano numerose intorno al riso, colpendo nell'aria con il suo flessibile bastone di bambù che usava per mescolare le tinture e raramente mancando la vittima. Un giorno un samurai di passaggio davanti al negozio osservò il ragazzino fare affondi così incredibilmente accurati e dichiarò che dovesse diventare uno spadaccino. Fu quindi portato via dalla tintoria familiare per essere addestrato, e diventò in effetti uno dei più grandi spadaccini che il Giappone abbia mai conosciuto.
Ancora una volta la realtà sembra essere diversa a seconda delle fonti narranti, come spesso capita anche a causa del lungo tempo intercorso tra i fatti accaduti e la resa scritta degli stessi, avvenuta spesso in anni lontani e dopo essersi tramandati per via orale da molte persone che per i motivi più disparati, interesse, fazione, cultura, personali o altro, hanno contribuito a modificare sensibilmente la realtà poi tramandata fino ai giorni nostri.
In qualsiasi caso, oggi, quella tipica colorazione marrone viene comunemente attribuita al famoso clan di spadaccini, a prescindere dalla proprietà intellettuale sulla stessa, che, ad onor del vero, viene attribuita all'affidabile metodo sviluppato dagli Yoshioka tintori, unico per riproducibilità cromatica tra le tecniche dei tintori dell'epoca.
E se anche la Minnich in un testo dedicato alle eleganti arti dei creatori giapponesi di abiti finisce in poche righe a parlare di spada quando accenna agli Yoshioka tintori, lo stesso Satoru non fa misteri, fin dall'introduzione del suo libro, sull'essersi interessato alla storia del clan Yoshioka in seguito ai (suoi) studi sulla vita di Miyamoto Musashi, e non stupisce quindi la ricchezza di fonti e di confronti fra queste, nell'ambito della tecnica  di scherma piuttosto che della tintura. Per quanto rimasto lievemente scontento dal non poter approfondire sulla parte tintura, resta comunque un testo altamente godibile per l'approfondimento storico sulle vicende Yoshioka/Musashi.

Ma, si sa, la lettura interessata porta ad ulteriori approfondimenti, alla ricerca di soddisfare curiosità che nascono a mano a mano che si prosegue nel testo, e dalle semplici note riguardanti la tintura Yoshioka e il marrone tipico di questa famiglia, è partita un'altra piccola ricerca personale.
Il marrone in questione è rimasto sufficiente famoso nella storia da meritarsi il termine alternativo di kenpo-iro, ovvero il colore del kenpo, termine utilizzato per indicare sia il capostipite degli Yoshioka che  la rettitudine e la correttezza dello stesso e della famiglia, e quindi ereditato dai discendenti. E tra i discendenti, uno è tutt'ora in vita: giunti ormai alla quita generazione dei famosi samurai tintori, Sachio Yoshioka è un artista tessile specializzato in un'arte che è pesantemente fondata sulla percezione visiva del colore e, se esistesse un titolo pari a Maestro del Colore, Sachio lo avrebbe guadagnato di diritto. Ha speso la sua infanzia nell'osservazione del padre e del nonno che lavoravano come tintori tradizionali, e, nonostante i suoi interessi per il giornalismo l'avessero portato a studiare letteratura, decise di continuare infine la tradizione di famiglia.

[Colors of Japan - Master Dyer and Color Historian Sachio Yoshioka]


Sachio Yoshioka è diventato una figura di riferimento in questa arte, uno storico del colore, prestando servizi e conoscenze alla mondo della moda e alla divulgazione dell'arte, riuscendo a mantenere in vita quel primato familiare che gli Yoshioka non sono riusciti a replicare invece con la loro tecnica della spada: lavorando a stretto contatto con la natura, seguendo le variazioni stagionali ed assecondando la salute di piante e terreni, il processo della tintura viene sviluppato a mano con acqua pura estratta da 100 metri nel sottosuolo. Lavorando lentamente e gentilmente, prendendo tutto il tempo che la natura chiede, solo allora emergono gloriosi i colori.
Purtroppo niente invece resta della scuola di spada degli Yoshioka, che affonda le radici nella prima metà del periodo Tenmon (1532–1554) e che, fondata dal capostipite Yoshioka Kenpo, non è durata più di quattro generazioni, passando attraverso gli onori della scuola, e dei maestri, ufficiali dello shogunato Ashikaga e dall'aver ricevuto il titolo, dato al discendente di terza generazione, di "miglior spadaccino del Giappone".

Per rimanere ancora in tema di Inchiostro e Spada, uno degli ultimi discendenti della famiglia samurai, Yoshioka Matasaburo Kanefusa, ancora attivo dopo la  chiusura della scuola in seguito alla sconfitta contro Musashi, è perfino ritratto da Utagawa Kuniyoshi, come pure le sue gesta sono ancora narrate alla fine del 1800, nelle quali viene descritto come Maestro di Kodachijustsu (tecnica della spada corta) della Yoshioka ryu. Ma oltre gli eventi che caratterizzano ancora la prima metà del 1600, si perdono infine le tracce di questa scuola marziale, sostituite solo dalle tecniche tintorie originarie mantenute in vita da Sachio.

Tornando infine al testo originale, è una lettura sicuramente consigliata, avvolgente, che rapisce il lettore immergendolo completamente nella storia all'epoca dello scontro tra i due giganti della spada con un rincorrersi di note e aneddoti raccontati da fonti a favore dell'una o dell'altra parte, utilizzando i diversi rimandi storici degli scritti dell'epoca, confrontando, analizzando e proponendo teorie e conclusioni, su una vicenda ed un personaggio sicuramente in bilico tra la realtà e la leggenda, e che inoltre fornisce sicuramente molti altri spunti per approfondimenti futuri su temi correlati.


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l'inchiostro e la spada




FONTI
- Yoshioka, Tintori e Spadaccini del Giappone Feudale - Satoru Matsumoto
- Musashi - Eiji Yoshikawa
- Textile dyeing: Sachio Yoshioka - https://www.toki.tokyo/artisan-stories/sachio-yoshioka/
- Textiles Yoshioka - http://www.textiles-yoshioka.com/eng/
- Final Chapters of Kyohachi ryu: Yoshioka ryu - https://lightinthecloudsblog.wordpress.com/tag/miyamoto-musashi/
- Japanese Costume & Makers: and the makers of its elegant tradition - Helen Minnich