domenica 1 gennaio 2023

Sake, pesci e il nuovo anno

Un giorno un tale mi domandò:"Sapete che significa l'uso di gettar via il sake rimasto in fondo a una tazza?". Io risposi: "Siccome far ciò si dice gyodo, suppongo significhi gettar via ciò che aderisce [gyo] al fondo [do]". L'altro rispose:" No, non è così: si tratta della parola gyodo [via dei pesci], perché il sake rimasto in fondo alla tazza lava il punto toccato dalle labbra".

Approfondendo attraverso le note, apprendo che in passato il sake, torbido, non si beveva tutto, ed era usanza lasciare la parte più torbida nelle tazze. Essendo queste di piccole dimensioni, venivano riempite più volte, ma senza risciacquarle: gettando via il sedimento, si procedeva quindi anche al risciacquo del punto della tazza venuto a contatto con le labbra. La via dei pesci menzionata allude al fatto che per tornare alle acque di origine i pesci ripercorrono la stessa via già percorsa quando se ne allontanarono. La ragione per cui si usava questo vocabolo per indicare il gettar via i fondi di sake sta nel fatto che bisognava fare in modo che i fondi facessero come i pesci, cioè rifacessero la strada già percorsa quando si era bevuto in precedenza, così da lavare il punto dove erano state applicate le labbra.

I due termini gyodo, omofoni ma scritti con kanji diversi, sono all'origine di questo passaggio di "Ore d'ozio" di Kenko, mia lettura abituale al primo dell'anno e che ogni volta mi colpisce con un passaggio diverso, preso da uno degli oltre duecento quaranta aneddoti, uniti solamente dal fatto di essere pensieri, per quanto futili possano essere, che sono passati per la mente dell'autore. Questa raccolta è considerata il capolavoro dello scrittore più importante dell'epoca Kamakura, vissuto a cavallo tra il 1200 e il 1300, grande filosofo appartenente ad una famiglia dell'alta burocrazia imperiale, che, attraverso la sua prosa di grande impatto poetico, è in grado di fornire delle stupende fiammelle che aiutano ad illuminare il percorso di un qualsiasi cammino.

Leggere le sue "frivolezze" è per me sempre uno spunto di riflessione, su qualsiasi cosa scriva, e fonte di una linea di azione che mi piace assumere per il nuovo anno, qualcosa di diverso dalla più classica lista dei buoni propositi, e più simile ad un rinnovato approccio alle cose, alla vita. 

Come l'autore vorrei quindi assumere quell'atteggiamento che mi permetta di non dare per scontato qualcosa solo perché l'abitudine mi porta a agire, nel senso di fare o di pensare secondo schemi e (pre)concetti applicati acriticamente, in modo da poter cogliere qualcosa di più, profondo o personale, da una qualsiasi azione della vita quotidiana, e poter meglio comprendere almeno le attività che più caratterizzano le mie passioni e le relazioni tra le cose e le persone. 

Inizia un nuovo anno e vorrei poterlo trascorrere all'insegna della comprensione del significato anche solo del più piccolo "perché" e cercare quindi di poter percorrere questa nuova tappa del mio cammino in maniera più consapevole.

_________
lele bo



Fonti:
- Immagine da https://it.wikipedia.org/wiki/Yoshida_Kenk%C5%8D
- Ore d'ozio, Kenko







domenica 19 giugno 2022

IL DOJO FUORI DAL DOJO: RIAI



Credo che la fantasia possa essere un modo per praticare con efficacia, se non ci si lasci andare a vanagloria o non ci si illuda di qualcosa di inesistente, come la capacità di fare qualcosa in modo perlomeno decoroso. Dopotutto la pratica dei kata nell'arte della spada, e soprattutto nello iaido dato che si pratica da soli, prevede per i gradi più alti il riai, ovvero la capacità di immedesimarsi così profondamente nel nostro personale combattimento contro kasoteki, l'avversario immaginario, da riuscire a renderlo fisicamente visibile ad un osservatore, ad un esaminatore o un giudice di gara. È una forma di applicazione della fantasia che non porta semplicemente un praticante a fare finta di combattere, ma a mostrare la reale tecnica non tanto in uno scenario predefinito e configurato, ma a saper mostrare le relazioni di causa ed effetto nell'azione contro uno o più avversari.

All'inizio per me è stata davvero solo fantasia, io e la mia spada al centro di un duello che richiamava un po' i giochi di quando ero piccolo, alla "facciamo che io ero...".
Da principiante ho imparato dei movimenti, a mano a mano che progredivo nella disciplina immaginavo un'azione, il continuo studio mi porterà, spero, a vivere profondamente il combattimento, essendo il riai uno dei punti di controllo fondamentali per poter sostenere con successo i prossimi esami.

Portando questi concetti nella vita quotidiana e nelle sessioni di corsa, mi piace quindi impostare l'allenamento su una base simile: soprattutto quando corro su un percorso ad anello, le situazioni si ripresentano più e più volte, esattamente come se stessi ripetendo un kata, e allora per non lasciarmi vincere dalla monotonia e dallo sforzo, la mia mente fissa delle situazioni immaginifiche che da un lato mi aiutano a vivere una storia e dall'altro a ripresentarmi più preparato nei giri successivi. Soprattutto correndo al buio, quando le figure della realtà sono molto interpretabili perché non esattamente riconoscibili, immaginare situazioni particolari di (finto) pericolo, nelle quali è richiesta tutta la mia attenzione e la preparazione per arrivare a poter eseguire una particolare azione, diventa l'analogo dei punti di controllo dei kata esattamente come in dojo. In questo caso non si tratta di parate o tagli, ma la capacità di arrivare in un punto preciso, con il fiato giusto, con il piede giusto, per compiere un movimento particolare, con la forza necessaria per eseguire un'azione precisa, come un cambio di passo o un salto. Tutto diventa parte di un esercizio diverso, più completo, mai monotono, che mi permette di poter essere pronto in diverse occasioni come un cambio di percorso nel quale un terreno accidentato possa essere fonte di piccole complicazioni.

In assenza di ausili tecnologici anche solo come la musica, il cervello rielabora quelle mille figure che saltano fuori dalle pagine dei libri, dalle scene di film o dai videogiochi, per attentare alla mia vita (metaforicamente, resta pur sempre un esercizio di fantasia), o mi fa giungere in quei luoghi che appartengono ad altri tempi e altre zone geografiche di cui ho letto mille volte, in un continuo scoprire, come da bambino, i mille pericoli e i mille avversari contro cui combattere, o da evitare, da saltare etc, e che avvolti nell'oscurità si ripresentano ancora e ancora permettendomi quelle infinite ripetizioni, giro dopo giro, utili al miglioramento.

La "storia" quindi del mio percorso di corsa nell'oscurità, si svolge tra fantasia, fatica e ripetizioni aiutandomi a mantenere un ritmo e a tornare sui miei passi più cosciente e preparato ad affrontare le "difficoltà", con un pizzico di ironia e la volontà, ma solo in questo caso, di non prendermi troppo sul serio.

  • il sigillo rotto: cocci vari, probabilmente portati da una piena e mai rimossi, sui quali è facile scivolare sopra
  • lo yokai: una gigantesca figura ammantata, che cela la sua identità fino all'arrivo della malcapitata vittima, contro la quale ci si può lanciare in un attacco efficace solo arrivandole vicino con il giusto passo e il giusto fiato
  • l'onsen: cos'è il Giappone senza le sue stazioni termali, in questo caso niente altro che un affioratore, maleodorante e caldo
  • la cascata: un punto di riferimento lungo il percorso, sono semplicemente le chiuse
  • Sekigahara: una zona caratterizzata da molteplici depressioni nelle quali ristagna l'acqua e cresce una bassa vegetazione, nella mia mente la triste zona di battaglia dalla quale la fuga avviene con salti tra i resti dei meno fortunati
  • il corridoio sonoro del castello di Nijo: un ponte con assi metalliche che fanno un gran rumore al passaggio dei pedoni, come i "pavimenti dell'usignolo" chiamati così perché, ogni volta che vengono calpestati, i morsetti e i chiodi posti sotto la superficie sfregano tra loro producendo un suono che ricorda il verso dell'usignolo, efficace sistema di allarme in caso di infrazioni della proprietà e di attacchi da parte dei ninja
  • la foresta dei pugnali volanti: è un passaggio in cui crescono bambù che impongono scarti improvvisi
  • il drago: una macchia d'olio sulla strada che richiama la forma di un drago, in prossimità del quale devo arrivare con la giusta postura in modo da poterla saltare
  • il ponte a botte: piccolo ponte con assi di legno su un naviglio, dove ovviamente si rende necessario sguainare, tagliare e rinfodera a ripetizione come da koryu
  • i corvi: creature maligne anche se poco pericolose che basta poter scavalcare o scartare velocemente, in realtà cespugli bassi
  • il baratro: leggera depressione ortogonale su un lungo naviglio dove il terreno ha ceduto e l'acqua piovana ha scavato il suo percorso, da saltare arrivando con il piede giusto per evitare una storta
  • la casa della strega: casetta con una traballante lucina all'interno, richiede ovviamente un passaggio veloce e silenzioso
  • il monte Fuji: salitone che porta alla massima altezza del percorso, in un rinnovato cammino verso uno degli emblemi del Giappone
  • la gora dell'eterno fetore: maleodorante impianto del gas che obbliga ad una diversa respirazione
  • il vessillo caduto: palo tendi cavo di un circolo canottieri, che richiama quei campi di battaglia in cui non sventolano più le insegne della fazione perdente, è solo un punto di riferimento lungo il percorso
  • Yoshiwara: è un bar sul fiume, ma passargli vicino, stanco e ormai al termine della corsa, con i suoi profumi, le sue luci, il vociare allegro dei clienti, mi rende mentalmente viva l'immagine del quartiere dei piaceri
  • il castello di Osaka: muro di pietre sul fiume che mi ricorda terribilmente il celebre castello, a questo punto sono praticamente arrivato
  • Pai Mei: quando ormai è tutto finito, c'è ancora un'ultima fatica prima di poter rientrare, la scala di Pai Mei che mi riporta sull'asfalto cittadino verso casa, mille gradini con un'alzata gigantesca e cambio di inclinazione



________
lele bo

mercoledì 4 maggio 2022

IL DOJO FUORI DAL DOJO: METSUKE E ZANSHIN


Solo da quando ho cominciato a praticare kendo e iaido ho compreso veramente cosa significhi guardare qualcosa in maniera completa e consapevole. Fino ad allora vedevo le cose, le persone, i paesaggi, anche dettagli magari minimi, ma mi perdevo l'interezza dell'immagine. Classicamente, ero in grado di vedere la foglia ma non la sua interazione con l'albero, e se vedevo questo mi perdevo la foresta: vedevo sempre qualcosa, ma senza cogliere la visione completa.

Il concetto di metsuke mi ha aperto ad un nuovo modo di guardare qualsiasi cosa. Quell'osservazione della montagna lontana che si traduce nelle arti marziali nel saper vedere l'interezza dell'avversario e dei suoi movimenti è diventata piano piano un'abitudine anche nella vita quotidiana. Mi piace immaginare che quando cammino per strada, o quando corro, il mio percorso sia paragonabile ad una sorta di kata in cui gli ostacoli fisici, piccoli o grandi che siano, cose o persone, fisicamente ingombranti o anche solo disegnati sul suolo stradale, siano una rappresentazione degli avversari che devo incontrare. Non che me ne vada in giro con spirito belligerante, ma cerco di sfruttare ogni opportunità per mettere in pratica qualche insegnamento dell'arte della spada e per cercare di creare un'abitudine.
Automaticamente il mio cervello comincia a mettersi in modalità concentrazione su tutto, imposta il mio corpo ad essere pronto ad una qualsiasi azione come svoltare un angolo, cambiare direzione, o anche solo arrivare con il piede e la postura giusti nel punto e alla distanza giusti per immaginare di poter avere quella prontezza che in dojo può portare ad uno yuko datotsu o ad un taglio realisticamente efficace (d'altronde non cerchiamo sempre di sconfiggere kasoteki, il nostro nemico invisibile?) mentre in mezzo alla strada diventa utile per evitare una persona o saltare una pozzanghera.

Questa attenzione porta inderogabilmente ad un altro fondamentale concetto che ho imparato in dojo, quello molto più profondo e complesso dello zanshin, quello stato di allerta vigile e consapevole che si mostra sia nella postura che nello stato d'animo al termine di un'azione, in modo da rendere possibile l'eventuale risposta ad un qualsiasi nuovo attacco e non necessariamente dell'avversario diretto. Di nuovo, non che vada in giro a cercare la rissa, jamais!, ma la consapevolezza di quello che possa accadere in un tempo successivo senza perdere di vista il momento attuale è di fondamentale importanza anche per la propria sicurezza, oltre che per quella degli altri. Se vengo superato da qualcuno, che quindi proviene dall'angolo buio della mia apertura visiva, cerco di capire se ci sia qualcun altro dietro ancora, se sia un gruppo, per evitare spiacevoli scontri, tagli di strada e ttti quei piccoli incidenti che se non altro possono dare davvero fastidio.

Il metsuke mi aiuta nella preparazione del momento attuale, lo zanshin a mantenere la situazione sotto controllo nell'instante successivo, soprattutto per il mio quieto vivere, a cui tengo particolarmente.
Piccole cose forse, ma che tutte insieme mi permettono anche di non invadere lo spazio degli altri e di poter continuare a "praticare" anche senza la spada in mano: la quotidianità continua ad essere una palestra efficace, e aperta tutto il giorno, per mettere in pratica tutti gli insegnamenti del dojo.




________
lele bo

mercoledì 6 aprile 2022

IL DOJO FUORI DAL DOJO: POSTURA E ASHISABAKI


Quando ho cominciato a pensare a questa serie di post, mille argomenti mi si sono affacciati confusamente alla mente, che durante la corsa segue dei percorsi tutti suoi: ma continuando a correre, e quindi a permettere alla mente di creare connessioni altrettanto libere, sono giunto alla conclusione che una concatenazione sensata degli argomenti, piuttosto che la proposizione casuale, fosse più efficace per affrontare un discorso teso a durare nel tempo.

E così, strettamente connessa al reiho, ritengo che faccia parte di una corretta disposizione mentale la ricerca e il perfezionamento della postura. 
Così come in dojo è fondamentale che la postura sia corretta per massimizzare l'efficacia dell'azione e per una corretta dimostrazione di kigurai, anche fuori dal dojo la postura è sinonimo di dignità, che intendo come il compiere una qualsiasi azione nella maniera corretta, con movimenti e disposizione mentale corretti: insomma, con la giusta postura mi sembra di affrontare le cose in un modo migliore, oltre a rispettare gli altri fornendo un'immagine integra e, appunto, dignitosa.
Dopo anni di pratica marziale caratterizzati da una profonda attenzione a tutto ciò, è inevitabile diventi automatica la ricerca per se stessi e l'osservazione acritica degli altri, come specchio di quello che in realtà faccio io stesso. E vedere per strada camminate con piedi a quarantacinque gradi rispetto alla direzione di movimento, sbracciate disarticolate e disarmoniche rispetto al passo, teste calanti o posizioni ingobbite, sono tutte un deciso contributo per lo sforzo verso un migliore controllo della mia postura. Parafrasando Murakami dal suo L'arte di correre, non essendoci vittoria o sconfitta nella sua attività di scrittore, si riduce tutto alla ricerca di quello stimolo interiore silenzioso e preciso, che non cerca conferma in un giudizio esterno: si ritorna quindi agli insegnamenti dell'arte della spada come disciplina finalizzata al miglioramento personale
E allora anche quando cammino per strada o durante le sessioni di corsa, così come quando sto semplicemente seduto davanti al monitor mentre lavoro, o mentre svolgo qualsiasi attività, pensare al mio corpo e alla sua relazione con le azioni che devo svolgere mi aiuta a farle meglio.

Mentre sto correndo, o anche solo camminando, la postura è sotto costante controllo, dato che è facile che la fatica faccia adottare delle scorciatoie che apparentemente facilitino il movimento in sé, ed esattamente come in dojo ricerco quindi la sensazione del busto eretto, della colonna vertebrale stirata, della cassa toracica aperta, di una corretta posizione della testa, della rilassatezza delle spalle e via dicendo.
Se devo guardare per terra cerco di farlo muovendo gli occhi e non abbassando la testa, esattamente come dopo il taglio finale di un kata, così come controllo che le braccia si muovano mantenendo un certo contatto con il busto in maniera simile allo scorrimento della mano sinistra lungo l'obi per la corretta esecuzione del sayabiki. E quando mi capita di passare sotto un lampione, approfitto della luce che proietta la mia ombra per terra per controllare che non ci sia luce tra le braccia e il busto nello stesso modo in cui la controllo allo specchio quando siedo in seiza.

Durante una corsa, così come nel caso di una semplice passeggiata per andare a fare la spesa, un controllo particolare va inoltre sempre all'ashisabaki: credo sia ragionevole ritenere infatti il movimento dei piedi intimamente connesso con la postura, oltre che, ancora una volta, legato all'efficienza del movimento. Anche in questo caso è un continuo controllo: mantengo i piedi paralleli o li lascio andare un po' dove vogliono? Spingo correttamente con l'avampiede come in un corretto fumikomi o lascio che sia il peso del corpo stanco a trascinarmi in avanti? Riesco a spingere correttamente sia con il destro che con il sinistro, come se passassi alternativamente da tecniche in chudan a hidari jodan? Se posso correre sulla linea della segnaletica stradale a terra, riesco a calpestarla o la stanchezza mi porta a deviare dalla linea retta? Se devo girare faccio in modo di cominciare la rotazione con il piede avanti per un corretto jikuashi, per cui diventa fondamentale anche l'osservazione delle spazio in cui mi muovo.
Si aggiunge fatica a fatica, a quella fisica si aggiunge quella mentale, ma fa parte della corretta attitudine alle cose sforzarsi di migliorarsi sotto ogni punto di vista.

Insomma cerco in ogni passo che compio di applicare quelle tecniche che vengono insegnate in dojo e che cerco di migliorare costantemente, quindi perché non applicarmi anche fuori dal dojo, dove in fondo passo la maggior parte del tempo?


________
lele bo

lunedì 21 marzo 2022

IL DOJO FUORI DAL DOJO: REIHO


Similia similibus solvuntur. 
Il simile scioglie il simile, come ci insegna la chimica, è il modo scientifico per dire che la natura polare o meno (lipofila) di un composto determina in quale solvente possa sciogliersi, di nuovo, polare o lipofilo. Un po' come l'adagio popolare chi si somiglia si piglia.
Ma cosa c'entra la chimica con il dojo, e soprattutto fuori dal dojo?
Fondamentalmente niente, a meno di non far parte del Comitato Federale Antidoping.
Piuttosto, vorrei esporre delle considerazioni nate durante la corsa, ma che alla fine sono riconducibili agli insegnamenti delle arti marziali e tipici del dojo, e che per abitudine cerco di portare fuori da questo, nella vita quotidiana.
Purtroppo al momento non posso dedicarmi alle arti marziali e come unica attività sportiva ho (ri)cominciato a correre.
Odio correre, ho sempre odiato correre, ma meglio che niente. All'interno dell'antipatia personale profonda per questa attività sportiva, mi piace correre con il buio e senza l'ausilio di supporti elettronici, senza musica, senza niente. La profonda fatica che faccio a correre rende, per me, il momento quasi catartico, durante il quale lascio andare la mente ai suoi pensieri, senza un filo conduttore: una sorta di reset cerebrale dal lavoro, dalle fatiche quotidiane, dagli impegni, dalle preoccupazioni, un lavaggio profondo che restituisce, alla fine, serenità. E immancabilmente, si formano immagini legate alla disciplina marziale, questa volta innescate da un ricordo chimico.

Un aspetto a me particolarmente caro delle discipline marziali è il reiho, l'etichetta. Fuori dal dojo potremmo definirlo come gentilezza, correttezza, rispetto, una forma relazionale che dovrebbe qualificarci come persone civili attraverso il nostro atteggiamento.
Correndo mi capita di incontrare altre persone che svolgono la stessa attività, e un po' come succede sui sentieri di montagna, ho sempre salutato le persone che svolgono la mia stessa attività. Statisticamente, forse uno su dieci risponde al saluto, forse anche meno, spesso sono solo le persone più agée, e più frequentemente di genere femminile. La maggior parte delle persone invece sembra comportarsi come le stragrande maggioranza di quelle che incontriamo quotidianamente per strada: ognuno per sé, lo sguardo chino sul cellulare, noncuranti di quello che succede intorno, e alle quali bisogna girare intorno perché sia mai che si spostino anche quando ti stiano venendo addosso. E men che meno rispondono al saluto. E dal momento che succede anche quando le persone sono in gruppo, deve essere chiaramente un'attitudine comportamentale ritenuta universalmente corretta e normale. Evidentemente l'adagio in apertura deve avere un qualche fondamento di verità universale.
Mi ritengo una persona mediamente educata, e quindi preferisco spostarmi io piuttosto che scontrarmi con gli altri. Anche se sono carico di borse, o visibilmente provato dall'esercizio fisico, non importa: e poi, come si insegna in dojo, bisogna sempre essere pronti e presenti, e come ci ha tramandato uno dei più grandi spadaccini giapponesi, è particolarmente vantaggioso scegliersi bene il proprio terreno per il combattimento. Non vorrei essere frainteso, non cerco la rissa e non penso che un incauto sconosciuto con lo sguardo incollato sul cellulare sia un nemico da combattere, ma portando fuori dal dojo quegli insegnamenti, allora posso valutare quale sia la strada migliore, ad esempio semplicemente per cercare di non rischiare anche solo di prendermi una storta per uno scarto all'ultimo minuto scendendo maldestramente da un marciapiede. Lasciamo stare che poi, molto più fanciullescamente, le persone che incontro devo sempre lasciarle alla mia destra, ma questo è più un giocare con le immagini del mondo samurai.

Tornando alla corsa, se sono in un anello ho l'abitudine di ripetere il saluto ad ogni incrocio, un semplice cenno con la mano, quasi sempre non ricambiato. Di nuovo una sensazione tutta mia, ma la maggior parte delle persone sembra solo voler evidenziare la propria superiorità: più abili, più prestanti, più attrezzati, più tecnologici, soprattutto con più diritti di chiunque altro incontrino. Io sono certo un nessuno, ma ci tengo al reiho, e il perché gli altri, che evidentemente si ritengono superiori, non possano comportarsi in maniera civile come dovrebbe essere confacente ai "ranghi" superiori, resta per me un mistero.
Correre, cedere il passo, salutare, non porsi in puerile antagonismo su qualcosa che si stia facendo per se stessi, sono per me tutti aspetti del reiho fuori dal dojo.
E partendo da questo semplice esempio, mi è venuta la curiosità di affrontare temi simili, in una sorta di appuntamento che spero potrà essere regolare e nel quale vorrei trattare, in modo sicuramente non esaustivo, almeno alcuni degli insegnamenti e degli aspetti di base delle arti marziali tradotti nelle azioni della vita quotidiana, e nella fattispecie, durante le mie sessioni di corsa.


________
lele bo


mercoledì 9 febbraio 2022

UNA CORSA E UN FLUSSO DI COSCIENZA


Due infortuni, la ripresa dell'attività fisica con una prima corsa dopo oltre un anno di completa inattività forzata, la paura di ricominciare, un'esplosione come se tutte le sinapsi si fossero attivate contemporaneamente in questo flusso di coscienza.

...è buio è meglio ricominciare nell'oscurità come un'ovatta protettrice ma ho paura di ricominciare e fa così freddo che vorrei farmi rapire dalla comodità e dall'indolenza torno a casa ma chi me lo fa fare chissà se ce la faccio ancora e mi prende quasi alla gola il ricordo di quello che facevo tutte le sensazioni negative su possibili nuovi incidenti si affollano nella mente e se cado e se inciampo e se mi rompo ancora qualcosa e poi la paga chi mi sta vicino perché divento un peso ho perso qualcosa e devo trovare la forza di affrontare le avversità cadi sette volte rialzati otto facile a dirsi sono quasi vinto dal paragone con il passato e vorrei scappare via quanto tempo è trascorso un gatto bianco incrocia la mia strada chissà se porta fortuna che bello quando su questi percorsi incontravo le lepri ma le vecchie abitudini e i vecchi ricordi sono difficili da recuperare mi piace compiere sforzi nella solitudine e nel silenzio forse potevo vincere prima questa specie di apatia e potevo ripartire prima regole mancano delle regole e mi sento impacciato oh da non credere mi ero quasi anche dimenticato della luna compagna nell'oscurità e tutte le stelle che non vedevo più da troppo tempo perfino di un Orione onnipresente sopra la mia testa il naso all'insù però non mi aiuta nella postura e comincio a pensare alla testa ai piedi all'opposizione anca-spalla che fatica però non ricordavo davvero questa fatica e questa stanchezza e che male però la spalla non credevo ma è bello osservare nuovamente l'ambiente con occhio diverso riprendendo anche quel minimo contatto con la natura la respirazione devo rimodulare la respirazione mentre il cuore mi sembra un tamburo di guerra che riecheggia pesante nella testa e le luci del ponte guarda se non sembrano fuochi lontani del mio personale campo di battaglia quella che sto combattendo contro me stesso ma devo andare avanti come la corrente del fiume e l'incessante sbattere contro le arcate del ponte mi sembra un incitamento alla perseveranza eppure quanti esempi ho avuto in tutto questo tempo lontane conoscenze che con i loro aggiornamenti social lanciavano messaggi positivi su come reagire non importa cosa fare avere un obiettivo ecco qual è il punto sforzarsi per perseguirlo e allora perchè io no dai è finalmente arrivato il momento di rompere qualche schema dettato dalle abitudini della comodità ma che buio qui è tornata la quiete e solo il mio passo pesante sembra disturbare quest'oscurità che mi dà sempre qualche brivido fin da quando ero piccolo che strano un volta non mi piaceva correre e adesso sono di nuovo qui a seguire quella sensazione di voler cambiare qualcosa contrastare l'apatia ecco cosa devo fare e cercare di ascoltarmi di nuovo fuori dal mio ambiente abituale che fatica sono già stanco e sento la fame lontano dagli odori della città sembra che si acuiscano anche i sensi e mi sembra di essere un animale che segue il profumo di cibo mi sembra di impersonare il mio gatto quando apro il tonno e arriva chissà da dove come svolazzasse sull'impalpabile scia odorosa solo che mi sento pesante ma è tutto vero il vecchio casolare ha ancora una luce accesa e il profumo arriva da lì non è giusto uno sta faticando e voi lo tentate con questi profumi ma sono quasi arrivato penso a falsi traguardi creati mentalmente apposta per farmi forza sono a metà strada manca ancora un terzo e i rumori e gli strani riflessi baluginanti che emergono dall'oscurità stanno ormai solo cercando di aggrapparsi alle mie spalle sembra che a loro non piaccia la solitudine vedo di nuovo le luci che roba sono arrivato è finita ce l'ho fatta avrò la forza domani di ripetere chissà ancora forse cinquecento metri e in tutto questo tempo non c'è un solo pensiero che sia riuscito a fissarsi nella mente che sensazione meravigliosa mi risveglio quasi solo quando incrocio un altro essere umano e non ho voglia di incontrare nessuno conosciuto o meno per fortuna pochi minuti e sono di nuovo a casa ma quanto tempo è passato poco davvero poco neanche un battito d'ali di farfalla... 


_________
lele bo


(Orione non si vede in foto e mi piace pensare a quanto sia meraviglioso guardare le cose e imprimerle nei ricordi piuttosto che fissarle in una foto che verosimilmente non vedrò mai più per tutta la vita)


sabato 1 gennaio 2022

LUNA NUOVA

Si devono forse ammirare i fiori solo quando sono in pieno rigoglio e la luna solo quando è tersa? Sospirare alla luna sotto la pioggia o star chiuso in casa per non veder declinare la primavera, questo ci comunica un'emozione profonda, che turba. Osservare un ramo che sta per fiorire o un giardino di fiori appassiti suscita una commozione ancor più viva. Se [...] leggiamo "Quando andai per contemplar i fiori essi erano già caduti" oppure "A causa di un contrattempo non potei contemplare la fioritura dei ciliegi" [...], c'è forse in esse minor incanto che si fosse scritto "Vedevo i fiori..."? I fiori che cadono e il tramontar della luna sogliono riempire l'animo di melanconia. Eppure solo qualcuno dal cuore totalmente insensibile potrebbe dire: "Questo [...] ramo ha i fiori appassiti: non c'è più nulla che valga la pena di essere visto". Così è per molte cose, solo il principio e la fine suscitano interesse. [...] Ma dobbiamo contemplare la luna e i fiori solo con gli occhi? Al contrario, anche senza uscire di casa, [...] proprio il pensare alla luna e ai fiori ci offre un piacere delizioso. In genere non amo rileggere i libri, ma Ore d'ozio di Kenko è ormai diventata una eccezione tradizionale nel primo giorno dell'anno. Un po' perché trascinato da quella atarassica forza che solo questo giorno sa dare, in cui opero una certa forma di riazzeramento totale, fisico e mentale, un giorno fuori dal tempo ma in cui tutto scorre tra un passato e un futuro che si fondono in armonia, un giorno in genere passato tra le mura domestiche ma nel quale l'isolamento non pare pesare. Come Kenko amava fare "nelle (sue) ore d'ozio, seduto davanti al calamaio, annotando giorno dopo giorno, senza alcun motivo particolare, ogni pensiero che gli (passasse) per la mente, (procurandogli) una sensazione davvero strana, simile a una lieve ebbrezza", io mi ritrovo invece di volta in volta stupito novello protagonista di questo o quel passaggio, ma tutte le volte con rinnovate vesti. Paragrafi che sembrano essere particolarmente pertinenti nei tempi attuali si susseguono senza sosta, come se Kenko fosse un autore contemporaneo. Proprio questa sua capacità di catapultarmi a cavallo di epoche diverse mi sorprende con quella caratteristica "lieve ebbrezza". In fondo non è difficile essere felici e godere del momento preciso: nella situazione attuale in cui possiamo essere ancora incupiti per quel che potrà riservarci il futuro per le nostre relazioni, attività, interessi, le sue parole risuonano potenti nel farmi ricordare che le emozioni che ho vissuto non sono solo ricordi del passato, ma sono quella parte di me, e vorrei sperare e augurarmi di tutti noi, che mi permette di godere nuovamente di quei delicati sapori che riaffiorano leggeri alla memoria quando richiamati da altri segnali anche fuori contesto. Quasi una coincidenza, stanotte sarà luna nuova ma la sua completa assenza non può che farmi tornare in mente tutte le lune piene che mi sono attardato ad osservare o i rami spogli di quell'acero che ha ormai smesso quel suo appariscente vestito rosso solo per indossarlo un pezzo alla volta ancora fra qualche mese. E l'assenza di luna non è forse il mezzo per poter osservare i mille altri astri spesso timidamente nascosti dietro i suoi argentei potenti raggi? E allora posso anche vedere una mancanza come qualcosa di complementare ma positivo, rendendomi conto anche di quanto altro esista, ma a cui magari non faccia caso, per abitudine o per fretta. Siamo ancora tutti chiusi in casa, alcuni lamentano limitazioni e restrizioni, e sicuramente non possiamo più godere della stessa libertà di qualche anno fa, ma avendo potuto vivere quello specifico attimo in passato, non è questo un motivo perlomeno per non lasciarsi andare alla tristezza? Non che voglia vivere di ricordi o di fantasia, ma la sensazione di quella singola esperienza vissuta in prima persona ritorna con tutta la sua prorompente vivacità anche quando meno me lo aspetti, e mi ritrovo a pensare di essere grato di aver saputo vivere quel momento con consapevole pienezza, magari chissà quando. Un momento che ha lasciato impresso qualcosa nella mia coscienza permettendomi di inebriarmi nuovamente con quelle deliziose sensazioni che non sono mai un ricordo di un passato sinonimo di tristezza e rimorso, ma una vivace lente attraverso cui vedere il presente con rinnovati colori. Non vorrei essere come quell'insensibile che vede solo il ramo spoglio, senza trasporto, e spero che questo possa accompagnarmi nel nuovo anno.

_________
lele bo

Fonti: - Immagine da https://svs.gsfc.nasa.gov - Ore d'ozio, Kenko