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domenica 9 febbraio 2020

LA LUCE DELLA SCONFITTA

Sono appena terminati due giorni di campionati di iaido, di esami, di dimostrazioni, due giorni di condivisione di passioni con un gruppo sempre più coeso con il passare del tempo.
Si fanno i primi passi in un ambiente nuovo, a mano a mano si rincontrano volti e luoghi, e poi i volti diventano persone, le persone conoscenti, i conoscenti amici, i luoghi nuove case dove ci si incontra, si discute, si scherza, ma soprattutto si studia. Non è più solo una passione in comune, ma una sensazione di appartenenza, nel senso meno elitario possibile del termine, anzi: appartenza ad un gruppo che nonostante all'interno del quale si combatta accesamente l'uno contro l'altro, lo fa nel più alto rispetto dell'avversario proprio perché questo è un amico.
E si vede, anche da fuori, anche quando non si è ancora entrati nel vivo e nella comprensione di cosa faccia, questo gruppo. E la verità è molto semplice: vuole  crescere con l'idea della condivisione, senza segreti, senza barriere ed ostacoli posti da una scuola o dall'altra, e, cosa ancora più importante, a tutti i livelli di esperienza, che non è considerata limitazione o, peggio, esclusione. Si percepisce la voglia di comunità, nella quale si esulta per una vittoria perché il vincitore è stato migliore, ha mostrato qualcosa, che chiunque possa prendere a sua volta.
Sono uscito presto dalla competizione, e dovrei rattristarmi della cosa, ma ritengo di aver ricevuto molto di più in termini di vicinanza e consigli, di supporto anche da persone dalle quali non me lo sarei aspettato perché ancora lontane, all'altro capo di due fili che cominciano però ad annodarsi. Ma inesorabilmente, evento dopo evento, anno dopo anno, vedi cambiare il mondo, un mondo che ti affascina sempre più perché gravita intorno ad una passione, e cominci a capire quanto sia importante, fondamentale, uscire dal tuo guscio per un confronto ma soprattutto per poter scambiare la conoscenza, dapprima a senso unico e poi, pian piano, anche in senso opposto. Dare per ricevere, ma non un do ut des: sarebbe forse meglio usare la formula dare è ricevere, per meglio comprendere la sensazione.
È emozionante sentire come la voglia di crescere insieme permei persone, azioni, luoghi ed eventi: gioire per un amico che vince, nonostante di un altro "colore", essere felici per un amico che passa un esame, nonostante quale sia il "colore" di appartenenza, perché in questo modo il gruppo intero vince, perché tutti hanno dato il massimo per contribuire, e molti anche di più. Perché si studia insieme, si pratica insieme, e si combatte insieme, più che contro.
Questi ultimi campionati sono stati per me una vera fonte di rinnovata consapevolezza e ispirazione. Credo di poter affermare, nonostante la mia limitata esperienza, che il livello si sia alzato, e questo non può che stimolare a studiare di più e meglio, con innumerevoli esempi da seguire, in tutti i gradi: e nei tempi "morti" la disponibilità di tutti è totale, per una parola, un consiglio, al termine dell'evento c'è addirittura chi ti viene a cercare per darti una mano a realizzare cosa cambiare e come. Una sconfitta che non è dolorosa, perché mettendo a nudo i punti scoperti permette di poter ricucire gli strappi di una pratica spesso, purtroppo, non particolarmente attenta e profonda.
Un bel cammino lungo una via che si rinnova continuamente, che si espande in mille direzioni e dimensioni, che non è più solo relativa ad una pratica per se stessi, ma passa attraverso il miglioramento di se stessi per contribuire al miglioramento di tutti.
Se le arti marziali sono disciplina, mi piace pensare che questa non sia solo puntata verso il raggiungimento di uno stato fisico migliore e verso un modello di apprendimento rigido e codificato, o soprattutto pertinente ad una attività esclusiva in dojo: tutto ciò è necessario, ovviamente, ma è solo un mezzo dell'evoluzione personale, che porterà a ricambiare quanto ricevuto e a crescere come persona e come gruppo. E sempre più intimamente sono convinto della profondità e dell'immensità di quelle poche parole racchiuse nei principi del kendo, che terminano con un messaggio oltremodo positivo indicando quale sia l'obiettivo finale della disciplina: amare il proprio paese e la società, contribuire allo sviluppo della cultura e di promuovere la pace e la prosperità tra i popoli. Sembra un'esagerazione, ma più ci penso, più cerco di applicare questi principi alle esperienze personali, più mi rendo di conto di quanto siano in grado di tracciare una via verso la quale si dovrebbe tendere, a qualsiasi livello di applicazione, le cui mille diramazioni tendono però a ricongiungersi qualsiasi sia stato il punto di partenza.
Sono state due giornate meravigliose, dal mio punto di vista, molto più ricche di sensazioni ed esperienze nonostante l'essere ancora lontano dal successo competitivo, anche fuori dal podio: chiudo questa nuova esperienza con delle immagini nuove impresse nella mia mente, positive, invitanti, da voler mettere in pratica per stare meglio, come persona e di conseguenza come gruppo. Si è accesa una nuova luce, voglio seguirla e poter trovare quelle conferme che oggi hanno cominciato a consolidarsi in qualcosa di più elettrizzante che mai.
Si ricomincia a studiare, si ricomincia a praticare, si continua condividere, ognuno per quello che sia in grado di fare, senza paure di sottovalutazione e senza remore. E ricominciare non è un tornare indietro, ma la realizzazione di un cambiamento necessario verso il miglioramento.
Bruce Lee definì la sconfitta come "nient'altro che educazione, il primo passo verso qualcosa di meglio": potrà sembrare assurdo, ma sono contento di aver perso.

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l'inchiostro e la spada





giovedì 17 ottobre 2019

IAIDO, RILASSATEZZA E CONDIVISIONE

[ Renè van Amersfoort ]
Terminato lo stage di iaido diretto da van Amersfoort sensei coadiuvato dai sensei Borra, Zanoni e Sappino, restano non solo i piacevoli ricordi di un gruppo che si ritrova sempre con rinnovato piacere ed entusiasmo, ma soprattutto le innumerevoli correzioni, indicazioni e consigli su come affrontare una pratica qualitativamente superiore, all'insegna di alcuni punti che ritengo chiave in qualsiasi cosa si faccia nella vita: rilassatezza e condivisione. 
Non è certo la prima volta che sento parlare di rilassatezza durante uno stage di iaido (v. post come La forza , Rilassati... è Iaido! o L'ebbrezza della velocità), né questa è un approccio all'arte della spada tipica di questi maestri, anzi, sono anni che anche i maestri giapponesi in visita nel nostro Paese ci insegnano questo concetto, ma resta comunque difficile praticare con questo approccio forse per il condizionamento dell'associazione taglio-forza, che può trarre in inganno se non correttamente compresa e, di conseguenza, applicata ed eseguita.
Per quanto sia facile pensare ad applicare il concetto di rilassatezza, risulta invece molto più difficile riuscire ad applicarlo, e qui entra in gioco un altro tema importante per la ricerca della qualità che rinnova e caratterizza il percorso di crescita di una vita, ovvero l'uscita dalla propria zona di conforto, che, come riportato da Carlo Sappino[1], è una zona che procura (...) un senso di sicurezza e di benessere quando ci si trova al suo interno, una tendenza a crearsi un proprio spazio (...) in cui si ha il pieno controllo, (...) una sorta di rifugio lontano da stress e ansia. Apparentemente nulla di nuovo, ma come tutte le volte, mi ritrovo ad analizzare quanto fatto e a riscoprire piacevolmente che, pur uscendo da tale zona, restano comunque saldi alcuni punti che brillano come fari nel buio della consapevolezza delle proprie incapacità.
Lo stage, in breve, sarebbe riassumibile in poche parole: due giorni di pratica anticipata da alcuni esercizi di riscaldamento, affrontando lo studio dei 12 kata di Seitei Iai della ZNKR. 
Apparentemente tutte cose note, sempre seguendo quelle apparentemente minime indicazioni del manuale ZNKR, apparentemente ripetendo all'infinito gli stessi movimenti, ma riscoprendo volta dopo volta, stage dopo stage, lezione dopo lezione, quanto realmente sia profondo questo mondo, come evolva come cosa viva e come diversamente si comprenda durante il proprio percorso, integrando di volta in volta anche gli insegnamenti che ci hanno lasciato altri grandi Maestri, come il Renseikai di Ogura Sensei[2], i punti importanti per l'insegnamento.
[ Ogura Sensei ]
Uno dei punti chiave dell'intero stage è stato la rilassatezza, che ha cominciato a caratterizzare la pratica già durante le fasi di riscaldamento: e anche in questo caso, il semplice concetto nasconde risvolti infiniti di comprensione e applicazione, fornisce la chiave per entrare realmente nel mondo della spada (citando van Amersfoort sensei: benvenuto nel mondo dello iaido), permettendo una pratica elevata ma soprattutto costante nel tempo. Rilassatezza non significa mancanza di risoluzione o determinazione, quanto piuttosto assecondare il processo motorio che porta una spada a tagliare efficacemente senza la preoccupazione di dover tagliare, condizione nella quale entra erroneamente in gioco la forza a rovinare ogni migliore intenzione. Come tutte le cose semplici, è invece estremamente difficile essere rilassati quando ci si confronti con kasoteki, il nostro invisibile avversario che troppo spesso riesce ad essere più forte di noi, in un rapporto che dovrebbe essere facilemente gestibile proprio in virtù della sua assenza fisica. Eppure riusciamo a mancarlo per incapacità di vederlo, di posizionarlo nello spazio, di colpirlo con efficacia, tutto perchè troppo spesso ci facciamo guidare dalla forza e trascinare dalla spada invece che dal nostro corpo, con sequenze di movimenti errati, con quella mancanza di equilibri e posture dovute al voler fare invece che al semplice fare. Vengono riportati alla nostra attenzione fondamentali come l'ashisabaki, il taisabaki, il jikuashi, il tenouchi, il senso di baricentro, di seikatanden, di shisei, di kikentai, di metsuke, di seme, di zanshin, di come tutto sia in relazione e come tutto debba fluire armoniosamente per essere efficace. Il tutto attraverso la rilettura commentata dell'infinito manuale ZNKR per meglio comprendere il senso generale di ogni singolo kata, di ogni singolo taglio, delle conseguenze di un attacco e del relativo contrattacco, parata o anticipazione che possa essere, in una rinnovata visione ragionata della serie Seitei con la quale ci si ritrova a confrontarsi per tutta la vita inseguendo il miglioramento. 


[ Foto di Kiryoku Budapest ]

Rilassatezza quindi non da intendere come assenza di azione o di velocità, quanto piuttosto della messa in sequenza armonicamente precisa di tutti i passaggi caratterizzanti l'azione del kata, inclusa la possibilità della vittoria più grande, quella che non richiederebbe neanche l'estrazione della spada.
E come sempre capita in un gruppo coeso, il dialogo, la condivisione, la voglia di proseguire insieme senza limitazioni dovute al grado o all'esperienza, la bellezza di poter dare e ricevere sinceramente, completa un approccio alla pratica tipico chi stia perseguendo un obiettivo più alto che non sia il mero superamento di un esame, importante ovviamente come punto di controllo ma non quale finalità ultima da perseguire. Ci si riscopre quindi parte di un qualcosa di vivo che cresce con il contributo di tutti, a prescindere da età o grado, in cui uno degli scopi più alti è quello di lavorare serenamente insieme per crescere insieme e cercare di raggiungere ancora insieme i livelli più alti della pratica grazie all'esperienza di chi ci abbia preceduto, e che possa lasciarci in eredità quanto necessario per poter a nostra volta svolgere lo stesso compito, in un ciclo continuo di cui tutti noi siamo parte.
Non solo uno seminario tecnico, ma anche una piacevole lezione, applicabile al dojo come alla nostra vita, in cui è facile ravvisare realmente, ancora una volta, quei principi espressi dalla ZNKR per i quali la corretta applicazione nell'arte della spada porti ad associarsi agli altri con sincerità e ricercare per sempre il perfezionamento di sé stessi e in questo modo diventare capaci di amare il proprio paese e la società, contribuire allo sviluppo della cultura e di promuovere la pace e la prosperità tra i popoli[3].


[ foto di Carlo Sappino ]


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l'inchiostro e la spada



Fonti:
  1. Impariamo ad imparare, Carlo Sappino,  https://digilander.libero.it/savonakendo/art-imparare.html
  2. Renseikai, Ogura Noburu sensei, https://confederazioneitalianakendo.it/renseikai-linsegnamento-dello-iaido-secondo-ogura-sensei/
  3. Principi del Kendo, Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Kend%C5%8D#Principi_del_kend%C5%8D




giovedì 30 maggio 2019

ICHI GO ICHI E

Storie, da un seminario di iaido.
Con i  diversi livelli di esperienza e le diverse sensazioni provate durante lo stage primaverile CIK di Iaido, è nata una piacevole collaborazione con Carlo Sappino, Iaido 6-dan, Kendo 4-dan, con il quale è stato scritto questo post che cerca di ripercorrere un evento caratterizzato da innumerevoli concetti espressi dai Maestri,  attraverso le nostre personali capacità di "sentire" i messaggi lanciati.
Un post a quattro mani, ma, evidentemente, con un cuore solo.

Modena 18 maggio 2018, primo anno dell’era Reiwa.

Dopo l’apertura ufficiale del seminario primaverile di iaido da parte delle autorità CIK, ha preso la parola per un breve saluto il Maestro Azuma Yoshinobu inviato dalla All Japan Kendo Federation.
Non si ricordano esattamente le parole, ma il nocciolo del suo intervento può essere così sinteticamente riportato:

“Ci incontriamo per questo seminario di iaido senza sapere se avremo occasione di rivederci ancora in futuro. Dovremmo quindi applicare, a questo nostro incontro, il concetto che viene espresso in Giappone con la frase ichi go ichi e."

Ichi go ichi e (ichi: uno; go: tempo, periodo, età, stagione, sessione, opportunità; e: cerimonia, riunione, assemblea, incontro) è un idioma giapponese a quattro caratteri che descrive un concetto culturale che mette in risalto, per la sua preziosa unicità, la natura irripetibile di un incontro.
Il riferimento a quel concetto profondamente Zen del cogliere l'attimo è lampante. L'invito a dare valore o a ricercare valore in un incontro che è unico e irripetibile, ma soprattutto transitorio e che non si deve lasciar andare. Viverne il qui e l'ora e apprezzarne i contenuti perché potrebbe essere l'unica occasione. Un carpe diem proattivo e non certo un semplice tirare a campare.
L’unicità dell’incontro inoltre non è da intendersi nell’accezione più tipicamente occidentale legata al destino, ma alla preziosità dell’incontro stesso tra i partecipanti, in virtù del fatto che saranno essi stessi cambiati in un futuro incontro. L‘irripetibilità dell’incontro è quindi determinata anche da noi stessi, motivo per cui assistere più volte ad un seminario con un Maestro porta sempre a nuove sensazioni e ad apprendere nuovi concetti.
Nel rituale della cerimonia del té si ritiene che la stessa cerimonia non possa mai essere ripetuta due volte identica nel tempo, ragione per cui si rende necessario mettere tutto se stessi e tutto il proprio cuore per prendersi cura dei propri ospiti.

Il messaggio del Maestro Azuma è stato chiaro.
Sono qui per questo seminario, forse non avremo più occasione di vederci, per cui impegniamoci al massimo e cerchiamo di trarre, da questo incontro, il massimo profitto.
Ichi go ichi e si applica non solo a persone che si conoscono e si incontrano nuovamente, ma anche in occasione di un nuovo incontro con persone che probabilmente non si incontreranno mai più. La formula di apertura di Azuma Sensei appare quindi molto più profonda di quanto avesse potuto essere percepita ad un primo ascolto, indice della volontà del Maestro di essere un ospite eccezionale che tenga a cuore ogni singolo partecipante, conosciuto o meno, e a cui desideri donare qualcosa di unico, in questo caso la sua esperienza e i suoi consigli, di cui farne vero tesoro.
È difficile riportare gli innumerevoli dettagli forniti per la migliore esecuzione di uno iaido corretto, portati all’attenzione dei partecipanti in una sessione durata quasi cinque ore, a partire dal reiho di cui gli esempi di Komura Sensei trasudavano profondità.
Sorvoleremo quindi sugli insegnamenti tecnici che il Maestro ci ha fornito per ciascuno dei kata di Seitei per andare piuttosto ad una serie di concetti, spunti di riflessione ed approfondimenti, ovviamente tutti finalizzati al miglioramento del nostro iaido.
Il primo concetto che il Maestro ci propone è quello di fare in modo che il nostro shisei (postura, atteggiamento) sia dinamico, non solo una postura formale, ma che assuma una forma in grado di riflettere una serena predisposizione all'azione.
La parola shisei, viene spiegato, è composta da due kanji: shi che può essere tradotto con forma, postura, figura, e sei che significa vigore, dinamicità. Il termine completo indica la propensione ad esprimere i diversi aspetti di una persona, fisici, mentali e spirituali, nei diversi tempi che caratterizzano un’azione, a partire quindi da ben prima che l’azione stessa inizi. Non indica quindi solamente una presenza formalmente corretta ma comprende la profondità della dedizione con cui ci si è impegnati nello studiare, e possibilmente raggiungere, un movimento efficiente del corpo, con il corretto stile e vigore, aggiungendo al concetto più standard di postura quello di un’attitudine mentale che ci permetterà infine di entrare nel kata.
Un punto su cui il Maestro ha ritenuto opportuno soffermarsi è proprio quello di shisei non come un mero aspetto tecnico, ma insieme a reiho, di cui shisei fa parte, il riflesso della nostra anima, della profondità della nostra pratica e, per questo, soprattutto in sede d'esame, già parte fondamentale della valutazione. Il concetto di shisei è stato ripetuto più volte durante la spiegazione dei kata, ponendo l’accento sul fatto che ogni singola tecnica per essere efficace debba necessariamente passare attraverso l’attivazione di shisei, tanto da definirlo il concetto chiave su cui sarebbe stato impostato l’intero seminario.
Insieme alla postura, un buon numero di esempi, correzioni e consigli sono stati forniti già solo per l’avvicinamento al kaishisen, a quale distanza porsi (30 cm), come possa variare questa distanza durante un enbu, ma come necessariamente il punto di inizio e di fine debbano essere fissi e coincidenti.
Uno shisei corretto esprime quindi un atteggiamento dinamico nella sua immobilità.
Appare quasi come un controsenso, ma tutto quadra se lo interpretassimo proprio come l'essere pronti all'azione: potremmo pensate ad un centometrista pronto al via sui blocchi di partenza, immobile, rilassato, pronto a far esplodere all'istante la sua energia e la sua tecnica.
Esiste un termine giapponese, okori, che indica l'inizio di un attacco: ne troviamo traccia in tutte le discipline marziali, in quelle tecniche che permettono di prendere attivamente l’iniziativa sia proattiva, shikakewaza, che reattiva, ojiwaza. L'applicazione di okori ha il significato di non dare all'avversario alcuna indicazione o riferimento della partenza dell'attacco che sta per subire. 
L’idea rimanda allo studio e alla minaccia all’avversario caratterizzata solo da postura e seme di spirito, situazione molto comune nell’incontro tra gatti, anche domestici e anche solo in fase di gioco, che sferrano la zampata dopo un’intensa attesa apparentemente statica, con quell’innata capacità di percepire quella frazione di tempo in cui l’avversario abbia un minimo calo di attenzione, un respiro, uno sguardo appena fuori fuoco, per coglierlo di sorpresa con un attacco fulmineo, sempre efficacemente a segno.
Pensare al nostro shisei dinamico in termini di okori ci aiuterà a realizzarlo, a mantenerlo ed a renderlo evidente.
Come si realizza? Questo lo sappiamo già: schiena dritta, testa eretta, spalle e braccia rilassate, energia nel seika tanden (basso addome), glutei leggermente contratti, eccetera.

I concetti si concatenano l’uno con l’altro e il Maestro introduce il termine keai in seguito ad una domanda.

“In questo passaggio del kata,
l'avversario ha già estratto la spada?”
cit. un partecipante allo stage.

La risposta è keai, percepire una presenza. 
Il concetto che esprime questo termine è il percepire l'avversario ed immaginare quello che stia facendo.
Nel manuale ufficiale di Iaido della ZNKR si riportano numero, azione e direzione in cui si muovono i nostri invisibili avversari, kasoteki, ma non viene specificato cosa stiano facendo esattamente: l'importante è quindi percepirne la presenza e la posizione in modo che il kata possa essere eseguito con spostamenti e tagli corretti nel tempo e nello spazio.
Immaginare cosa stia facendo esattamente kasoteki, da dove stia arrivando, se abbia impugnato, se stia sfoderando o abbia già sfoderato, se abbia preso jodan no kamae o un altro kamae, quale sia la sua velocità di azione, ecc,  aiuta moltissimo ad interpretare il kata soprattutto in funzione del tempo-spazio che ci separa.
È utile anche aggiungere che molto spesso, a fronte di nuove spiegazioni e correzioni che vengono fornite, è necessario rimodellare l'idea dell’avversario per rendere più coerente l'azione.

“Ci sono tre elementi sui quali mi concentro quando eseguo un kata:
sen, jikuashi e jushin.”
cit. Azuma Yoshinobu

Dalle traduzioni di Murata Sensei, si apprende che questi tre punti sono i “segreti” che il Maestro vuole condividere con noi: con la scelta accurata del termine tradotto, Murata Sensei, lascia intendere quanto fondamentali siano nella pratica, e infatti il rispetto di questi tre punti, dice il Maestro Azuma, ci permetterà di costruire nel miglior modo il kata.
Questi i tre punti sui quali impegnarsi e concentrarsi nell'esecuzione di un kata:
  1. Sen,  le linee del kata
  2. Jikuashi,  il piede dominante
  3. Jushin,  il baricentro
Se lo iaidoka rispettasse questi tre elementi nell'enbu, i kata sarebbero sicuramente corretti.
Ecco cosa prevede quindi lo studio e l’applicazione di questi tre aspetti fondamentali sui quali concentrare la nostra attenzione e da praticare con costanza.

SEN, la linea

È necessario cercare e comprendere le linee d'azione di un kata per la sua corretta esecuzione, disegnando e percependo le linee che il proprio corpo deve produrre.
Le linee del kata sono tante e ad esse si sovrappongono quelle tracciate dal nostro corpo.
Si possono individuare tre tipologie di linee:
  1. la linea che percorre kasoteki, da individuare con metsuke, fondamentale perché ci si deve trovare nella posizione giusta, e nel momento giusto, per poter prendere la nostra posizione ed effettuare quindi una successiva tecnica efficace, sia essa un attacco o una difesa
  2. la linea del nostro attacco per atemi, tecniche di percussione, tsuki, stoccate, e tagli, con la consapevolezza che si tratti di una linea tridimensionale perché presuppone anche differenti altezze oltre a differenti direzioni e angoli
  3. la linea che traccia il nostro corpo, che deve essere coerente con la prima tipologia e funzionale per la seconda.
Primo punto chiave del “buon” kata è quindi il rispetto delle direzioni e delle altezze accompagnato da un corretto metsuke, nonchè dalla posizione che la spada assume in relazione a tali direzioni e linee.

JIKUASHI, il piede dominante

Più che in ogni kata, si può dire che in ogni singolo momento di ogni kata ci sia un piede dominante che gestisce le azioni del corpo per variarne la direzione in movimento: è necessario comprendere da dove debba partire ogni singola azione pensando a quale piede ne prenda la gestione in ogni passo. Semplificando, il Maestro richiama il principio in base al quale in ogni cambio di direzione il primo elemento che si deve muovere è il piede avanzato rispetto alla posizione in cui ci troviamo in quel momento.
A questo si deve aggiungere necessariamente il jikuashi dei kata in seiza o in tatehiza che potremmo individuare in quel piede che maggiormente determini la stabilità e la direzionalità delle nostre azioni.
Altro fondamentale concetto legato a jikuashi è di nuovo quello di shisei: è importante che ogni movimento sia effettuato con naturalezza, dinamicamente e in modo posturalmente corretto, così da poter efficacemente gestire l’attacco di kasoteki.
Una componente basilare di jikuashi è infine la gestione del punto successivo.

JUSHIN, il baricentro

Jushin è il baricentro o, meglio ancora, il punto d'equilibrio che si trova nel seika tanden, all'interno del nostro corpo all'incrocio tra il nostro asse verticale e l'asse centrale all'altezza della parte inferiore del ventre, qualche centimetro sotto l'ombelico.
In ogni azione, più o meno dinamica che sia, jushin deve rimanere sempre all'interno del nostro corpo per stabilire l’equilibrio e determinare movimenti armonici ed efficaci: un po' semplificando, possiamo affermare che sia fondamentale “mantenere il centro” sempre in riferimento alle sei direzioni, alto-basso, destra-sinistra e avanti-indietro.
Fondamentale nel mantenimento del baricentro è la capacità di dominare la spada anche nel caso di tagli particolarmente potenti, senza da questa lasciarci trascinare in un’azione che risulterebbe quindi scomposta e in definitiva inefficace.
Rilassatezza nella parte superiore del corpo, buon lavoro di entrambe le mani, sinistra in primo luogo, ad esempio con buoni sayabiki, buon ashisabaki (spostamento dei piedi) e quindi consapevolezza di jikuashi, contribuiranno al raggiungimento dell'obiettivo, ovvero al mantenimento di jushin nella sua posizione ideale.

Ancora dalle parole del Maestro, uno studio continuativo e profondo basato su questi tre punti applicati ad ogni kata, ad ogni sua scomposizione, ad ogni movimento e sempre permeato da shishei, in ogni fase del kata, dalla preparazione allo zanshin, deve essere l’obiettivo di ogni praticante per proseguire verso il continuo miglioramento.
Queste idee, questi concetti, razionalizzati e focalizzati dalle parole del Maestro Azuma, dimostrati dal Maestro Komura, e splendidamente tradotte dal Maestro Murata, sono state il frutto di un ichi go ichi e riuscito pienamente.
Come per la cerimonia del té, un incontro, una opportunità, con tutto l’impegno dei Maestri nel voler condividere la loro esperienza e la nostra gratitudine per la loro generosità, in un evento che rimarrà per sempre in noi ma non potrà essere ripetuto esattamente come l’abbiamo vissuto in quanto, nella speranza dei Maestri, saremo tutti cambiati.

Grazie Azuma Yoshinobu Sensei e Komura Shigehiro Sensei.




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lunedì 11 febbraio 2019

LA NATURALEZZA CHE VINCE L'AGGRESSIVITÀ



Un tema quanto mai attuale, quello della violenza e dell'aggressività, trova una giusta, per quanto diversa, collocazione in una discussione sulle arti marziali, soprattutto quelle nelle quali si utilizzino armi.
Non è infrequente sentire le considerazioni di chi sia lontano da tali arti, espressione generalmente di quello che è l'immaginario violento del samurai, nè è raro durante la pratica esprimere concetti e descrivere tecniche finalizzate a ferire, tagliare, uccidere.
È importante però riconoscere il contesto e comprendere a fondo cosa si stia facendo: d'altronde il fatto di praticare da soli dovrebbe già di per sè far intendere cosa sia lo Iaido, non un jutsu alla base della propria sopravvivenza in battaglia o duello, ma un do, una via per migliorare la propria mente e il proprio corpo in un'unione armonica con l'universo. Lo Iaido incarna in sè il principio dello studio e della pratica ripetitiva per un miglioramento personale, profondo, attraverso l'applicazione con uno strumento, la spada, che altro non è che l'estensione del nostro io nel campo del reale, forse l'espressione che un osservatore esterno possa percepire e valutare come la nostra "forza".
Uso il virgolettato perché non vorrei il termine fosse inteso come la capacità, o meglio, la volontà fisica di tagliare qualcuno o qualcosa, nè tanto meno la prova della capacità o della volontà di arrecare un danno: è facile cadere in questo inganno della mente, è facile persistere presi dalla foga di maneggiare una spada, ed è difficile uscire da questo blocco.
Il testo "La mente senza catene" di Takuan Soho inizia con una affermazione-monito profondo per chi volesse praticare seriamente quest'arte: la sofferenza di permanere nell'ignoranza. L'ignoranza è qui intesa in chiave zen come assenza di illuminazione, ed è quindi chiaro che questo preveda di aver già avuto la possibilità di vedere scoccare una scintilla. E se questo ritengo sia già un successo, può venire subito smorzato dalla consapevolezza di cosa ci sia davanti a noi, e quindi dalla difficoltà di rompere quelle catene. La mente può essere attratta dalla spada. Se la vostra mente si lascia trascinare dal ritmo della contesa, ben presto ne diventerà prigioniera. Se la collocate nella vostra spada, rischierà di rimanerne catturata. Se la mente si fissa su una qualsiasi di queste cose, voi diventerete un guscio vuoto. [...] L'ignoranza e la sofferenza dell'inizio, la dimora e la saggezza immutabile che viene dopo diventano una cosa sola. La funzione dell'intelletto scompare, e si entra in uno stato che chiamiamo Non Mente Non Pensiero. Se si raggiunge questo stato, le gambe e il corpo sanno cosa fare, ma la mente non entra minimamente in questo processo.
La recente esperienza ai Campionati Italiani CIK 2019 di Iaido mi ha fatto intravedere e provare qualcosa, una sorta di scintilla illuminante che ha permesso di sentire quello che spesso viene spiegato ma evidentemente, da me, finora non interamente e profondamente compreso. In una sorta di quella che in termini più moderni potrebbe essere definita trance agonistica, ho provato la sensazione, breve ma intensa, di non voler vincere aggredendo, non voler sopraffare con la forza, di non avere la consapevolezza di un avversario e di una giuria, ma di vivere un momento di disincarnazione durante il quale gli insegnamenti, i consigli, le correzioni, almeno in parte, sono fluite naturalmente verso la spada, portandomi non verso una vittoria sportiva ma verso una comprensione migliore, aprendo una porta su una nuova strada, molto più soddisfacente. Per me, una vittoria comunque, e molto più importante.
Si può vedere tutto questo espresso al meglio da chi abbia già attraversato questa porta, dai volti e dal comportamento degli atleti durante la cerimonia del saluto precedente le finali dei Campionati Italiani 2019, e, soprattutto, dai loro incontri.



CCII IAIDO CIK 2019 - Individuali Mudan


CCII IAIDO CIK 2019 - Individuali Shodan


CCII IAIDO CIK 2019 - Individuali Nidan


CCII IAIDO CIK 2019 - Individuali Sandan


CCII IAIDO CIK 2019 - Individuali Yondan


CCII IAIDO CIK 2019 - Individuali Godan


CCII IAIDO CIK 2019 - Individuali Rokudan


Ho compreso meglio come l'aggressività e la forza cedano, nella pratica della spada come dovrebbe essere nella vita quotidiana, vinte dalla determinazione, dalla rilassatezza e dalla naturalezza. Ricomincio nuovamente, e con un nuovo obiettivo, nella pratica, nel lavoro e nella vita di tutti i giorni, con una nuova trasformazione che spero riesca a spezzare quelle catene, ora forse solo appena allentate, che imprigionano la mia mente.



Anche se non è cosciente
di fare la guardia,
nei piccoli campi di montagna
la presenza dello spaventapasseri non è vana.
Bukkoku Kokushi




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Fonti:
- La mente senza catane, Takuan Soho



lunedì 14 gennaio 2019

IO FACCIO, IO CREDO, IO SBAGLIO


Il nuovo anno non poteva cominciare meglio che con la partecipazione ad un intenso stage di Iaido Seitei organizzato da Akitsukai Lucca e intensamente diretto da Danielle Borra, 7 dan Kyoshi, e Claudio Zanoni, 6 dan Renshi:



nonostante il freddo pungente oltre una ventina di praticanti si sono dati appuntamento da diverse regioni per approfondire tecnica, etichetta e cultura, in uno studio coinvolgente di alcuni kata, dal loro senso ai loro punti caratterizzanti, sotto l'attento sguardo dei due Maestri, approfittando della ripetizione e integrazione dei diversi fondamentali e fornendo quindi anche ottimi spunti per un modello didattico e non solo di pratica.
Lo studio dei kata è avvenuto anche attraverso l'analisi e la comprensione del testo base dello Iaido Seitei, quel manuale Zen Nippon Kendo Renmei Iai reso disponibile in versione italiana dalla federazione CIK che trovo sempre più complesso a mano a mano che il tempo passa. Un testo sufficientemente conciso da racchiudere tutto lo Iaido Seitei in poche pagine, ma che rivela nuovi aspetti e nuovi dettagli ad ogni nuova lettura e soprattutto con la continuazione della pratica: adatto al neofita per l'approccio e l'impostazione dei kata, necessario al principiante per lo studio dei dettagli, fondamentale per l'esperto per la rifinitura della pratica, è un testo cangiante che offre livelli diversi di informazione a seconda del grado di maturità del lettore. All'aumento dell'esperienza del praticante garantisce una rinnovata esperienza di lettura ed interpretazione, ma, come è stato fatto notare, necessita sempre di una guida per poterlo comprendere e padroneggiare.
Ci vuole tempo per leggere e ci vuole tempo per praticare, ma entrambe le fasi di allenamento necessitano di qualità e profondità, che si possono ritrovare solo attraverso un'applicazione metodica, lenta e attenta, come pure attraverso una pratica comune, in un gruppo coeso che vuole crescere insieme, in cui gli errori dell'uno sono quasi sicuramente quelli dell'altro ed ognuno può essere maestro dell'altro, e in cui si possa intimamente valutare la propria preparazione attraverso il confronto e con l'osservazione della pratica dei compagni.
È difficile percorrere una Via, non necessariamente quella
della spada,  perchè troppe sono le distrazioni che ci allontanano da essa, e molte di queste dipendono purtroppo da noi e dal nostro ego, che cresce robusto insieme ad una pratica qualitativamente povera, e il discorso diventa qui molto personale. 
Raramente in precedenza, come questa volta ho potuto rendermi conto di quanto possa essere inefficace la pratica, e di quanto lo sia stata nei tempi più recenti: orgogliosamente consapevole di praticare costantemente, di applicare i concetti ed applicare le tecniche, si è lentamente insinuata in me la convinzione di saper fare, di credere di vedere un miglioramento solo perchè le molte nozioni incamerate venivano teoricamente, quanto erroneamente, incluse nella pratica costante e ripetitiva, per quanto sterile, perdendo quindi il senso della pratica stessa. Cadendo in una routine monotona di ripetizioni meccaniche,e a posteriori senza senso,  la mancanza di controllo e verifica causata da un ego che pare mascherare la realtà mi ha portato lontano dalla Via. La pratica non necessariamente porta ad un miglioramento, e adesso più che mai mi rendo conto di quanto sia difficile vedersi realmente, di quanto credere di essere capaci di qualcosa porti inevitabilmente ad edulcorare  inconsciamente l'amara realtà.
Come una versione psicologica dello specchio magico delle
fiabe, l'ego riesce a restituire un'immagine forte di sè, convincente e subdolo nel mostrare quanto siamo bravi, separando e allontanando sempre più quello che crediamo di fare da quello che facciamo, invertendo le parti, confondendole e lasciando che l'abitudine costruisca un castello inespugnabile dalle spesse mura dell'autocompiacimento, portando l'impegno di pratica costante a giustificazione più che plausibile per il finto risultato.
La trappola tesa dell'ego è scattata di nuovo (v. Il quinto demone, anche se allora era Kendo), a dimostrazione di quanto sia facile perdersi sulla Via. Ma lo Iaido, come è stato fatto più volte notare in occasione dello stage di inizio anno, è fatto di dettagli: angoli, altezze, posture, posizioni, movimenti, impugnature, ma è anche permeato di etichetta,  comportamenti e cultura che contribuiscono alla profondità della comprensione, dello studio e quindi della realizzazione. Uno dei punti cardine dello Iaido è il combattimento contro un nemico invisibile, e il nostro più temibile nemico siamo noi stessi: accomodarsi sul trono costruito dall'ego che ci porta sì più volte alla settimana nei luoghi dove pratichiamo la nostra arte facendoci credere che la costante ripetizione ci renda migliori, è una facile vittoria sulle nostre debolezze. Cadere da quel trono e da quelle mura accompagnati nuovamente sulla Via corretta è come una piccola rinascita che permette di riscoprire i tanti perché del nostro impegno originario fornendo nuova linfa alla nostra pratica. 
Praticare sinceramente insieme ad altri che condividono la nostra passione può davvero essere fondamentale per tale risveglio, accendendo una luce nel tetro tunnel delle routine che portano all'errore. L'arte della spada è intimamente connessa con la filosofia zen, in cui perseveranza, ripetizione, errore e critica sono fondamentali, ma è troppo facile saltare alcuni punti fondamentali e credere di migliorare solo perché ci si applichi. È necessario sbagliare, come parte del percorso di crescita,  e gli errori non sono da vivere come esito negativo, anzi: il piacere di poter essere accompagnati nuovamente sulla Via della comprensione è una rara gioia sul difficile cammino dell'apprendimento volto all'irraggiungibile perfezione attraverso il miglioramento continuo. È necessario praticare con il corpo e con la mente, non solo ripetere gesti che sono ormai acquisiti muscolarmente ma vuoti di significato.
Se si capisse la vera pratica, allora il tiro con l'arco o altre attività potrebbero essere zen. Ma se non si capisse come praticare il tiro con l'arco nel suo più vero significato, allora anche se si praticasse molto duramente, si acquisirebbe solo una tecnica. (...) Se si comprendesse il punto della pratica, allora il tiro con l'arco ci aiuterebbe anche senza un arco e una freccia. Come si possa giungere a tale potere o abilità, è solo attraverso la giusta pratica. (Shunryu Suzuki)

Inizia un nuovo anno (2019, anno del cinghiale) e siamo alla fine di un nuovo ciclo (12 anni, uno per animale): secondo la leggenda il Budda chiamò a raccolta tutti gli animali, ma si presentarono solo in dodici e quindi decise di ringraziarli dedicando un anno a ciascuno di essi, ma il cinghiale si presentò per ultimo, si dice, perchè si fermò a mangiare lungo la strada. Mi sento come il cinghiale che si è perso per soddisfare il proprio piacere, e spero che questo nuovo inizio sia di buon auspicio per una rinnovata pratica più profonda e proficua.


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sabato 20 ottobre 2018

IAIDO, AL CONFINE TRA ARTE E SCIENZA

L'arte, nel suo significato più ampio, comprende ogni attività umana che porta a forme di creatività e di espressione estetica, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate o acquisite e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall'esperienza. Pertanto l'arte è un linguaggio, ossia la capacità di trasmettere emozioni e messaggi.
Per scienza si intende invece un sistema di conoscenze ottenute attraverso un'attività di ricerca prevalentemente organizzata e con procedimenti metodici e rigorosi, avente lo scopo di giungere, attraverso delle prove, a una descrizione, verosimile, oggettiva e con carattere predittivo, della realtà e delle leggi che regolano l'occorrenza dei fenomeni.
Al confine tra arte e scienza, lo Iaido incorpora l'essenza di entrambe: disciplina afferente all'arte della spada, sembrerebbe più dover propendere per la prima natura eppure è un'arte dominata da numeri, leggi fisiche e metodo.



Un recente stage mi ha permesso di chiarire ulteriormente questo aspetto, potendo realizzare come numeri, punti, traiettorie, angoli, accelerazioni, velocità, conformazioni ossee e articolari, pesi, rotazioni e relativi centri, e molte altre variabili chiaramente scientifiche fossero così intimamente legate all'uso della spada come fosse lo strumento di un artista, per disegnare davvero tratti astratti determinati dalla sensibilità, dalla capacità di vedere, copiare, immaginare, rendere proprio, interpretare e rendere manifesto quanto di più personale possa esserci in quest'arte.
Concetti normalmente ritenuti alla base di differenti discipline della scherma giapponese sono fluiti naturalmente dall'una (Kendo) all'altra (Iaido), e viceversa,  per dimostrare come in realtà tutto sia infine uno, nella ricerca dell'armonia tipica dello iaido, come ci sia in realtà un'unica arte che possa essere espressa in maniera diversa ma regolata dagli stessi principi.

Mi piace pensare allo Iaido con una rappresentazione sintetica descritta da una serie numerica : 41-4-1
  • 41 : i punti da osservare per la pratica più corretta, i chakuganten, letteralmente i punti di attenzione,  sono stati elencati, discussi, analizzati e messi in pratica per un'esecuzione alla ricerca della perfezione: sono  i punti di controllo dell'esecuzione di ogni kata, che completano la forma stessa aggiungendosi al riai, il senso logico del kata. L'arte passa dalla sequenza dei movimenti, la forma, da apprendere per copia e studio, al controllo dello strumento usato, la spada,  e del proprio corpo attraverso l'applicazione di parametri fisici che determinano posizione, velocità e direzione, permettendo allo iaidoka di esprimere personalmente la propria arte all'interno di canoni universalmente riconosciuti dettati dalla Zen Kendo Ren Mei.
  • 4 : gli elementi generali che concorrono alla perfetta esecuzione, racchiusi dalla breve ma profonda lista, forse più nota ai kendoka, ichi gan, ni soku, san tan, shi riki, ovvero primo gli occhi, secondo i piedi, terzo il coraggio, quarto la tecnica, che in ordine di importanza imposta l'efficiacia di un kata passando attraverso una necessaria sequenza logica che parte dallo sguardo per cercare l'avversario, per proseguire con il movimento dei piedi, vero e proprio motore del taglio con la spada, e quindi passare alla determinazione, nell'accezione data alla traduzione letterale di intestino/fegato, in quanto lo spirito deve essere forte, ed infine la forza, o la tecnica, perchè lo iaido resta pur sempre un'arte marziale e anche se si combatte un avversario invisibile, kasoteki, o forse proprio per questo, rimane di fondamentale importanza la capacità di esprimere la marzialità del gesto per non finire in una riproduzione sterile dell'arte.
  • 1 : inteso come unità del tutto, dall'espressione ki ken tai ichi, mente spada corpo una cosa sola, che esprime la simultaneità dell'azione di spirito o volontà, del taglio con la spada e del movimento del corpo come requisito essenziale per l'efficacia della tecnica, nella rappresentazione di quell'arte tanto difficile da padroneggiare in quanto complessa nei suoi fondamentali che devono confluire in una completezza unica.



Quando si riesce a comprendere, studiare e allenare il proprio spirito ed il proprio corpo secondo questi numeri, controllando la tecnica dello strumento e del proprio corpo attraverso i mille dettagli dei passaggi intermedi, si riesce a dare una rappresentazione reale di questa magnifica arte con quell'aura di silenziosa maestosità e potenza che possiamo osservare nelle esecuzioni dei maestri, testimoni di una vita passata nell'esercitazione costante e continua protesa verso la perfezione dell'arte che riesce a comunicare quel senso di profondità che colpisce nell'anima anche il neofita e il principiante, fornendo esempio,  motivazione e spinta per la pratica quotidiana.


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Fonti:

- https://it.wikipedia.org/wiki/Arte
- https://it.wikipedia.org/wiki/Scienza
- Zen Nippon Kendo Renmei Iai
- Regolamento Arbitrale Iaido ZNKR



martedì 12 giugno 2018

SHIBORI-TSUKI, CURIOSITÀ LESSICALE TRA SPADA E TINTURA

Tra le curiosità che portano a divagare all'incrocio tra arte della spada e tintura, da cui il nome del blog, un altro punto di contatto casuale tra Iaido, l'Arte della Spada a lama inguainata, e quella della tintura, Shibori, lo si ritrova nel termine che accomuna la tecnica della tintura stessa e in quello di una tecnica caratteristica di alcuni kata, le forme dello Iaido in questo caso, o più comunemente delle arti marziali.
Shibori deriva dalla radice verbale shiboru, che significa strizzare, comprimere, schiacciare, termini usati per enfatizzare l'azione effettuata sulla stoffa prima di procedere con la tintura vera e propria. La stoffa infatti non viene considerata come uno spazio bidimensionale su cui imprimere un disegno, ma piuttosto viene piegata, strizzata, arrotolata, compressa, rendendola una struttura tridimensionale assicurata da corde o blocchi di legno, in modo che il colore possa interagire con il materiale appositamente piegato, e colorare quindi solo zone particolari del pacchetto così preparato, realizzando infine i pattern tipici di questa tecnica di tintura.

esempi di preparazione della stoffa per la tintura shibori

Nel quarto (Tskukaate) e decimo (Shihogiri) kata di Iaido Seitei, un affondo viene effettuato con un movimento particolare, combinato tra mano destra, che impugna la spada e la spinge verso sinistra, all'altezza del petto, e la mano sinistra, che impugna il fodero all'altezza dell'imboccatura, sull'anca sinistra, e la spinge verso destra per portarla all'altezza dell'ombelico, con una torsione verso l'interno: le mani, effettuando un movimento sulla stessa direzione ma in verso contrario, si ritrovano quindi in una posizione opposta rispetto a quella di partenza con un movimento che richiama appunto lo strizzare una stoffa.

shibori-tsuki in tsukaate
shibori-tsuki in shihogiri

Il termine giapponese con cui si traduce l'affondo è tsuki, mentre si usa il termine shibori per indicare il movimento di torsione verso l'interno dell'impugnatura della spada e dell'imboccatura del fodero durante l'affondo stesso: questa tecnica prende il nome di shibori-tsuki proprio per indicare un'azione assimilabile alla preparazione tipica della stoffa da tingere, che viene appunto strizzata.


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