martedì 2 giugno 2020

I MIEI PRIMI 3600 HAYASUBURI (IN UN'ORA)

Come tutte le cose inusuali o strane, anche l'isolamento domestico ha avuto un inizio simile, suscitando dapprima un qualche strano piacere nonostante quanto stesse succedendo fuori: si lavora da casa, si fa tutto in casa, sembra tutto nuovo o almeno diverso, e si finisce con il farsi prendere dalla pigrizia e dalla procrastinazione, ma alla fine, come sempre, la normalità ritorna padrona. E così torna anche la necessità e la volontà di muoversi, di fare sport, di continuare con le passioni che scandivano la settimana quasi senza che ce ne se rendesse conto. E quindi, nonostante tutto e nonostante le limitazioni, eccoci a ripensare a routine quotidiane domestiche che potessero prendere il posto degli allenamenti regolari in palestra o in dojo: per quanto mi riguarda,  kata, suburi, kihon, Kendo, Iaido e via così a ritrovare, se mai si fosse sopito, il piacere di praticare le arti della spada, anche in solitaria.
Le sessioni cominciano ad allungarsi, i carichi a crescere, un po' come un allenamento con la corsa, ma come fare a sviluppare la resistenza nei limitati spazi domestici, ad allenare lo sforzo e la concentrazione che questo richiede in tempi prolungati? La risposta è arrivata dopo una lenta ripresa per riappropiarmi di tempi e modalità di un nuovo allenamento, tanto semplice quanto banale: hayasuburi. 

[video da KendoWorld: hayasuburi]

Non invasivi per il prossimo, inquilini e vicini di casa, non richiedono spazi infiniti, basta un metro quadro, la ripresa per le sessioni un po' più impegnative è partita tranquilla: ma se normalmente in dojo i suburi, haya o choyaku, vengono scanditi dalla quantità e dalla ripetizione, in serie da 10 e multipli, in casa, con molto più tempo a disposizione e con la necessità e la voglia di mettermi alla prova anche sulla resistenza, ho impostato infine la sessione hayasuburi sul tempo. 
Dopo circa un mese di inattività dall'inizio dell'isolamento, ho ricominciato con sessioni brevi, contando i suburi in serie: dieci, cinquanta, cento duecento: sembra passare un tempo infinito se fatti con costanza di ritmo e all'inizio la concentrazione finiva immancabilmente sul mantenimento del ritmo e sulla conta dei tagli. Continuando con le sessioni ho realizzato come con l'aumentare delle ripetizioni fosse sempre più difficile contarle, e mentre il fisico sembrava reggere, la mente era impegnata nello sforzo inutile della conta. A mente fredda cercavo soluzioni alternative ma più efficaci, che mi hanno portato a ribaltare il concetto: allo scandire di un metronomo impostato su 120 battiti al minuto (bpm), l'esercizio prevedeva quindi un caricamento e un taglio ogni secondo, un passo indietro e uno in avanti ogni secondo, e il tempo totale da dedicare forniva il numero ripetizioni per sempice divisione (tempo della sessione diviso sessanta = numero di hayasuburi per sessione, facendoli a 120 bpm). 
Ed ecco una di quelle folli idee da isolamento farsi largo tra una sessione e la successiva, per portare l'esercizio ad estremi ai quali non mi era mai capitato di applicarmi durante gli allenamenti in dojo. Se da una parte il paragone era con gli allenamenti con la corsa, perché non rappresentare con gli hayasuburi un allenamento sulla lunga distanza? Maratona suburi è stata la risposta!
Partito con l'idea di aumentare progressivamente le ripetizioni della serie, ho organizzato le sessioni, due alla settimana, con un aumento di cinque minuti a settimana, pari ad un incremento di 300 suburi a sessione. Le sessioni hanno cominciato ad allungarsi, trenta, quaranta, cinquanta minuti e infine il primo obiettivo della corsa-suburi: un'ora completa. Ovvero tremilaseicento suburi, al termine di una tabella di marcia di circa due mesi e mezzo, e l'intenzione di continuare verso la mia personale maratona suburi.
Ma cosa è successo nel frattempo? È successo che sono passato da un'esecuzione meccanica finalizzata a terminare la serie, alla ricerca di un ritmo, di una respirazione corretta e in sincrono con i tagli, alla possibilità di dimenticarmi del tempo e dei numeri per dedicarmi alla tecnica. Nelle ore passate ad eseguire questi suburi, la mente ha avuto la possibilità di focalizzare l'attenzione su mille particolari visti in dojo come quelli
  • sull'impugnatura: stringo correttamente la sinistra più della destra?
  • sul caricamento: porto la spada in alto spingendo con la mano sinistra?
  • sul taglio: la punta della spada si ferma all'altezza del mento?
  • sulla posizione della mani: alla fine del taglio sono più basse della punta?
  • sul movimento dei piedi: il piede sinistro resta dietro il destro, è sempre carico, e il tallone è alzato?
  • sulla postura: riesco a muovermi senza cambiare l'altezza delle anche, riesco a tenere ferma la testa e a non infilarla sotto le mani quando carico?
  • sul caricamento centrale: la mano sinistra è al centro della testa e il bokken non ha inclinazioni laterali?
  • sul caricamento sopra la testa: riesco ad alzare sufficientemente le mani?
  • sulla posizione della punta della spada al termine del caricamento: riesco a controllarla per tenerla al massimo sull'orizzontale?
  • sui tempi di chiusura delle mani nel taglio: il taglio parte dalla mano sinistra e viene accompagnato subito dopo dalla destra?
  • sulla chiusura delle mani solo per arrestare la spada: riesco a chiudere il tenouchi solo nel momento del taglio, strizzando le mani controlateralmente?
  • sul fermare il taglio: riesco ad eseguire il suburi senza far rimbalzare il bokken?
  • sul fiato: riesco a respirare in sincrono con i movimenti per aumentare l'efficacia dell'esercizio? Come cambio in funzione del tempo e dello sforzo?
  • sui battiti cardiaci: riesco a rimanere sotto una soglia che permetta di continuare l'esercizio nella fase di resistenza dura per lunghi periodi?
  • sul caldo che comincia a farsi sentire: ce la farò senza interruzioni per l'idratazione?

Vengono in aiuto le infinite correzioni ricevute anche nello Iaido per come si effettui un taglio, come ci si debba muovere, il movimento dei piedi diventa di nuovo oggetto di studio anche se un fondamentale dei primi anni. Perché per fare hayasuburi per un'oretta di seguito si incappa in tutta una serie di problemi che non avevo previsto, come il peso distribuito sul piede davanti, che all'inizio mi ha
causato vesciche da sfregamento sul parquet, e quindi da correggere per ripartire correttamente e alleggerire il passo, l'impugnatura troppo stretta sul bokken, che mi ha causato vesciche alle mani, soprattutto la sinistra (per fortuna, oserei dire), il movimento della testa che dopo mille ripetizioni comincia ad abbassarsi per far passare le mani al di sopra. 
Si entra in una sorta di trance, si esce dal fluire del tempo e si entra in una dimensione diversa, si vede solo l'obiettivo del taglio davanti a sè, si cerca di mettere a frutto tutti i consigli per migliorare la tecnica rimanendo mentalmente concentrati su ogni aspetto del movimento, il tempo diventa una variabile senza senso perché è solo il suono del contaminuti che mette fine alla sessione. La concentrazione è totale, l'esperienza è totalizzante, si cerca di cambiare il ritmo della respirazione per resistere alla sforzo, non si pensa a niente altro se non a correggere tutto quello che la fatica tende a rovinare, la mente non ha niente altro da fare che procedere con le correzioni.


Settimana dopo settimana, sessione dopo sessione, taglio dopo taglio, e dopo aver raggiunto il primo "tempo parziale" di tremilaseicento suburi in un'ora, oltre quarantaduemila in due mesi e mezzo, cosa succederà? Altra risposta semplice: niente. Si continuerà verso il prossimo intertempo previsto delle due ore, e poi chissà quanto oltre. E quando mi fermo a domandarmi a cosa serva tutto ciò, mi rispondo di nuovo "niente". È solo la voglia di mettere alla prova qualche limite, e voler andare oltre, anche se ancora chiuso in casa. Mi piace pensare che neanche questo sia un limite, c'è solo la voglia ed un nuovo traguardo, mai quello definitivo, da raggiungere. Forse sono le endorfine che prendono il sopravvento, forse è solo che si voglia andare oltre, per il mero piacere di farlo, fatica e dolore o meno, cercando di superare un ostacolo dopo l'altro: Ralph Waldo Emerson disse che bisogna sempre fare quello di cui si ha paura, e credo che i limiti non siano niente altro che un dito dietro al quale nascondersi per non fare qualcosa che vada oltre. Il bushido ci tramanda degli insegnamenti sulla necessità di sgombrare la mente per vincere una battaglia, in chiave moderna e sportiva potremmo quindi pensare ad un obiettivo da raggiungere: diventa fondamentale concentrarsi solo sul presente, su quello che si sta facendo, qualsiasi cosa essa sia, per gettarsi oltre l'ostacolo, senza la paura della sconfitta, qui ed ora.




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l'inchiostro e la spada








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