domenica 19 giugno 2022

IL DOJO FUORI DAL DOJO: RIAI



Credo che la fantasia possa essere un modo per praticare con efficacia, se non ci si lasci andare a vanagloria o non ci si illuda di qualcosa di inesistente, come la capacità di fare qualcosa in modo perlomeno decoroso. Dopotutto la pratica dei kata nell'arte della spada, e soprattutto nello iaido dato che si pratica da soli, prevede per i gradi più alti il riai, ovvero la capacità di immedesimarsi così profondamente nel nostro personale combattimento contro kasoteki, l'avversario immaginario, da riuscire a renderlo fisicamente visibile ad un osservatore, ad un esaminatore o un giudice di gara. È una forma di applicazione della fantasia che non porta semplicemente un praticante a fare finta di combattere, ma a mostrare la reale tecnica non tanto in uno scenario predefinito e configurato, ma a saper mostrare le relazioni di causa ed effetto nell'azione contro uno o più avversari.

All'inizio per me è stata davvero solo fantasia, io e la mia spada al centro di un duello che richiamava un po' i giochi di quando ero piccolo, alla "facciamo che io ero...".
Da principiante ho imparato dei movimenti, a mano a mano che progredivo nella disciplina immaginavo un'azione, il continuo studio mi porterà, spero, a vivere profondamente il combattimento, essendo il riai uno dei punti di controllo fondamentali per poter sostenere con successo i prossimi esami.

Portando questi concetti nella vita quotidiana e nelle sessioni di corsa, mi piace quindi impostare l'allenamento su una base simile: soprattutto quando corro su un percorso ad anello, le situazioni si ripresentano più e più volte, esattamente come se stessi ripetendo un kata, e allora per non lasciarmi vincere dalla monotonia e dallo sforzo, la mia mente fissa delle situazioni immaginifiche che da un lato mi aiutano a vivere una storia e dall'altro a ripresentarmi più preparato nei giri successivi. Soprattutto correndo al buio, quando le figure della realtà sono molto interpretabili perché non esattamente riconoscibili, immaginare situazioni particolari di (finto) pericolo, nelle quali è richiesta tutta la mia attenzione e la preparazione per arrivare a poter eseguire una particolare azione, diventa l'analogo dei punti di controllo dei kata esattamente come in dojo. In questo caso non si tratta di parate o tagli, ma la capacità di arrivare in un punto preciso, con il fiato giusto, con il piede giusto, per compiere un movimento particolare, con la forza necessaria per eseguire un'azione precisa, come un cambio di passo o un salto. Tutto diventa parte di un esercizio diverso, più completo, mai monotono, che mi permette di poter essere pronto in diverse occasioni come un cambio di percorso nel quale un terreno accidentato possa essere fonte di piccole complicazioni.

In assenza di ausili tecnologici anche solo come la musica, il cervello rielabora quelle mille figure che saltano fuori dalle pagine dei libri, dalle scene di film o dai videogiochi, per attentare alla mia vita (metaforicamente, resta pur sempre un esercizio di fantasia), o mi fa giungere in quei luoghi che appartengono ad altri tempi e altre zone geografiche di cui ho letto mille volte, in un continuo scoprire, come da bambino, i mille pericoli e i mille avversari contro cui combattere, o da evitare, da saltare etc, e che avvolti nell'oscurità si ripresentano ancora e ancora permettendomi quelle infinite ripetizioni, giro dopo giro, utili al miglioramento.

La "storia" quindi del mio percorso di corsa nell'oscurità, si svolge tra fantasia, fatica e ripetizioni aiutandomi a mantenere un ritmo e a tornare sui miei passi più cosciente e preparato ad affrontare le "difficoltà", con un pizzico di ironia e la volontà, ma solo in questo caso, di non prendermi troppo sul serio.

  • il sigillo rotto: cocci vari, probabilmente portati da una piena e mai rimossi, sui quali è facile scivolare sopra
  • lo yokai: una gigantesca figura ammantata, che cela la sua identità fino all'arrivo della malcapitata vittima, contro la quale ci si può lanciare in un attacco efficace solo arrivandole vicino con il giusto passo e il giusto fiato
  • l'onsen: cos'è il Giappone senza le sue stazioni termali, in questo caso niente altro che un affioratore, maleodorante e caldo
  • la cascata: un punto di riferimento lungo il percorso, sono semplicemente le chiuse
  • Sekigahara: una zona caratterizzata da molteplici depressioni nelle quali ristagna l'acqua e cresce una bassa vegetazione, nella mia mente la triste zona di battaglia dalla quale la fuga avviene con salti tra i resti dei meno fortunati
  • il corridoio sonoro del castello di Nijo: un ponte con assi metalliche che fanno un gran rumore al passaggio dei pedoni, come i "pavimenti dell'usignolo" chiamati così perché, ogni volta che vengono calpestati, i morsetti e i chiodi posti sotto la superficie sfregano tra loro producendo un suono che ricorda il verso dell'usignolo, efficace sistema di allarme in caso di infrazioni della proprietà e di attacchi da parte dei ninja
  • la foresta dei pugnali volanti: è un passaggio in cui crescono bambù che impongono scarti improvvisi
  • il drago: una macchia d'olio sulla strada che richiama la forma di un drago, in prossimità del quale devo arrivare con la giusta postura in modo da poterla saltare
  • il ponte a botte: piccolo ponte con assi di legno su un naviglio, dove ovviamente si rende necessario sguainare, tagliare e rinfodera a ripetizione come da koryu
  • i corvi: creature maligne anche se poco pericolose che basta poter scavalcare o scartare velocemente, in realtà cespugli bassi
  • il baratro: leggera depressione ortogonale su un lungo naviglio dove il terreno ha ceduto e l'acqua piovana ha scavato il suo percorso, da saltare arrivando con il piede giusto per evitare una storta
  • la casa della strega: casetta con una traballante lucina all'interno, richiede ovviamente un passaggio veloce e silenzioso
  • il monte Fuji: salitone che porta alla massima altezza del percorso, in un rinnovato cammino verso uno degli emblemi del Giappone
  • la gora dell'eterno fetore: maleodorante impianto del gas che obbliga ad una diversa respirazione
  • il vessillo caduto: palo tendi cavo di un circolo canottieri, che richiama quei campi di battaglia in cui non sventolano più le insegne della fazione perdente, è solo un punto di riferimento lungo il percorso
  • Yoshiwara: è un bar sul fiume, ma passargli vicino, stanco e ormai al termine della corsa, con i suoi profumi, le sue luci, il vociare allegro dei clienti, mi rende mentalmente viva l'immagine del quartiere dei piaceri
  • il castello di Osaka: muro di pietre sul fiume che mi ricorda terribilmente il celebre castello, a questo punto sono praticamente arrivato
  • Pai Mei: quando ormai è tutto finito, c'è ancora un'ultima fatica prima di poter rientrare, la scala di Pai Mei che mi riporta sull'asfalto cittadino verso casa, mille gradini con un'alzata gigantesca e cambio di inclinazione



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lele bo

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