giovedì 25 aprile 2019

ARTE NEL TEMPO DI UN RESPIRO


Riprendendo il tema affrontato nel post "Spada e pennello, strumenti della stessa arte", vorrei spingermi oltre con un parallelo tra arte della spada e poesia, più specificamente l'haiku, breve componimento poetico di 17 sillabe, o meglio unità fonetiche di base, on, caratterizzato dall'assenza di rime, da un ritmo creato da 3 soli versi da cinque, sette e cinque "sillabe", occidentalmente parlando, e da un'immediatezza e spontaneità disarmanti per descrivere vividamente immagini spesso legate alla natura. Derivato da altre forme poetiche più articolate, affonda le sue radici nel V/VI secolo e come tutte le forme d'arte ha subito molteplici variazioni per arrivare alla forma e al nome con cui è conosciuto oggi non senza essere passato attraverso le più svariate interpretazioni di correnti fino alle avanguardie più spinte che ne hanno profondamente cambiato l'essenza per spirito, metrica e temi trattati, complice anche la diffusione in occidente e quindi l'uso di altre lingue.
Le regole di composizione di un haiku sono tutto sommato semplici, come descritte nell'articolo  "L'haiku, un attimo di vita che diventa poesiadi Carlo Sappino, che, nell'elencare quali siano i punti chiave di questa arte compositiva, riesce a restituire in maniera concisa, tipica dell'haiku appunto, la forza di tali composizioni celata dietro alcuni semplici punti.
La semplicità e la naturalezza saranno temi che ritorneranno nel paragone tra arte poetica e della spada: l'articolo termina con una selezione di componimenti di Matsuo Basho (1644-1694), il sommo poeta giapponese la cui immagine è circondata ancora oggi da un'aura di sacralità, figlio di samurai che dedicherà gli ultimi 12 anni della sua vita alla peregrinazione attraverso il Giappone, eremita errante che si sposta apparentemente senza scopo, dispensando saggezzza ai poeti che incontra sulla sua strada, in una ascesi che passa attraverso la fusione con le piccole cose della natura e con il fluire dei suoi tempi. Difficile non pensare immediatamente ad un'altra figura parimenti evocativa di artista errante più noto ai praticanti dell'arte della spada, quel Miyamoto Musashi, vissuto circa un secolo prima, che percorse il Giappone per maturare la sua arte marziale e che affiancò nel tempo pittura e prosa lasciandoci quel testo fondamentale che è Il libro dei cinque anelli, a dimostrazione di quanto le arti siano comunque interconnese e basate su principi del tutto simili.
A differenza della poesia occidentale, la brevità dell'haiku è tale da richiedere un solo respiro per il suo compimento, esattamente come un kata di Iaido, e da qui nascono tutte le similitudini tra le due arti. Il necessario distacco dal sé tipico dell'arte della spada trova il suo omologo nella capacità di una personale e profonda osservazione di un attimo che lascia sgorgare un'immagine, resa in testo, unica, coinvolgente, naturalmente profonda ma non ricercata, la cui immediatezza e tale e quale all'efficacia di un taglio.
Il renga, una delle forme compositive progenitrici dell'haiku, è caratterizato da un proceso di stesura definito johakyu, letteralmente inizio, rottura ed enfasi, ossia quella modulazione di movimento e azioni che accompagnano una varietà piuttosto eterogenea di arti, tra cui la cerimonia del te, il kendo (e lo iaido) e il teatro no. Luca Cenisi ci ricorda come tale termine derivi dall'arcaico gagaku, musica elegante, che non può non portare alla mente del praticante la necessità di ricercare l'armonia, e quindi l'efficiacia dei movimenti, mentre al non praticante fornisce quel senso di appagamento che dona l'osservazione del bello, a prescindere dalla comprensione tecnica.

Cenisi riporta come il maestro Zeami o Kanze Motokiyo, nel 1300, associasse in maniera altamente poetica il processo dello johakyu allo scorrere di un fiume, sostenendo che jo fosse il gentile ruscelletto che entra nella corrente, ha il fiume impetuoso che scorre in mezzo ai picchi della montagna e kyu il tuffo di un'imponente cascata che si riversa in un profondo e quieto lago. Nello iaido johakyu caratterizza l'intera esecuzione di un kata, ma si manifesta, proprio come nelle stanze di apertura del renga, già dal momento dello sfoderamento, inizialmente lento, progressivamente più veloce, per terminare con la massima velocità che caratterizza il taglio che inizia nel momento esatto in cui la spada lascia il fodero. È tutto un concatenarsi di azioni precise ma armonizzate in un gesto continuo, profondo, efficace.
Tra i caratteri essenziali di un haiku ritroviamo, a differenza della poesia occidentale, l'assenza del titolo, lo schema metrico 5-7-5 e il kireji, ovvero un carattere o segno d'interpunzione che divide la composizione in due emistichi distinti, giustapposti o a creare una sospensione del discorso poetico.
L'assenza del titolo riporta ai valori fondamentali, alla quiete interiore e ai sentimenti più profondi veicolati attraverso il sentimento naturalistico, kikan: conta solo il presente, solo l'attimo in cui è possibile cogliere le molteplici risonanze del reale. Come nell'arte della spada, non c'è spazio né tempo per l'analisi e lo studio delle conseguenze, ma bisogna mettere tutto lo spirito, il cuore, il kokoro, per dare tutto se stessi in quell'istante unico in cui si decida di intraprendere un'azione, il "qui e ora" caratteristico della filosofia zen che si intravede in tutte le arti giapponesi o, usando le parole di Alan Watts, l'essere completamente coinvolti con quello che si stia facendo nel qui e ora.
Lo schema metrico 5-7-5 richiama la regolarità e l'irregolarità delle manifestazioni naturalistiche, dimostrando nel tempo qualità armoniche e simmetriche molto più adattabili allo spirito dell'haiku. Manifestazioni come l'armonia e la disarmonia che, in simbiosi con l'uomo, costituivano i due momenti fondamentali del pensiero taoista, e che richiamano quindi immediatamente al significato letterale dello iaido, l'arte dell'estrazione della spada, ovvero la via (do) dell'unione (ai) dell'essere (i), il cui scopo ultimo è infatti la perfetta ed armonica unione con se stessi e con l'Universo.
Il kireji invece, il carattere che taglia, produce uno spazio vuoto (ma) destinato a produrre nel lettore una certa risposta sentimentale, un riverbero del senso e dei sentimenti, ossia ciò che va oltre le parole, in un processo circolare, che partendo da uno spazio concreto, rigetta le suggestioni da questo prodotte in una dimensione estetica profondamente spontanea e veridica, per il tempo strettamente necessario all'emissione di un respiro. Difficile non vedere l'analogia con la subitaneità del taglio del kendo o dello iaido, con la ricerca del proprio spazio e della propria distanza, e con lo zanshin (il momento di concentrazione e controllo di un avversario dopo l'esecuzione di un'azione) che riporta il praticante ad uno stato di quiete attenta e pronta che permetterà di iniziare un nuova azione istantanea.
Un haiku deve fare riferimento alla realtà vissuta dall'haijin (un Maestro o poeta esperto), al suo presente, riflettendo l'idea secondo cui il pensiero deve procedere di pari passo con il moto perpetuo dell'attimo, in sincronia e senza tentennamenti. Studiando il Manuale dello Iai della Zen Nippon Kendo Renmei è frequente imbattersi in espressioni simili a "eseguire il taglio senza esitazione": non c'è tempo per pensare, non c'è tempo per fermarsi, il movimento del corpo deve fluire costantemente facendo muovere la spada di conseguenza e creando quindi la condizione per il taglio efficace, nell'unico momento adatto per la corretta esecuzione, nel presente del qui ed ora, e che soprattutto non implica velocità, frenesia o forza.
L'etichetta, reiho, o per meglio dire il modo corretto di fare le cose, e l'eleganza di posture e movimenti, shisei, sono caratteri fondanti dell'arte della spada: si ripete spesso come tutto inizi e finisca con il saluto, che non simboleggi una superficiale manifestazione di educazione, ma un lavoro completo sulla persona, ovvero la ricerca di una migliore adesione alla via, do: analogamente, nella creazione di un haiku, il termine furyu, nell'accezione di buone maniere, intende il riflesso della rettitudine sociale, raffinatezza ed eleganza, e che grazie alla scuola di Basho, prese ad indicare la via da seguire per cogliere appieno  la scintilla creativa, zoka, insita in tutte le cose, incarnando un cammino di ricerca, al contempo artistica ed esistenziale, che procede per successivi gradi di affinamento fino a portare l'autore a maturare un interesse diretto e sincero del proprio poetare, indipendentemente dalle proprie idee e dai propri pensieri, mu-shin. Esattamente come per l'arte della spada in cui si cerca di abbandonare il dualismo vittoria-sconfitta, il sé e l'avversario, la spada e la non spada, per cercare di raggiungere quello stato per il quale si possa vincere ancora prima di poter estrarre la spada. È la quintessenza di quest'arte marziale, in cui la spada non è né più né meno che un mezzo attraverso il quale esprimere se stessi cogliendo quel singolo istante fondamentale per la vittoria, che nell'ambito della composizione dell'haiku potrebbe essere interpretata come il distacco soggettivo che permette di vedere qualcosa che colpisce la sensibilità riuscendo a usare un altro attrezzo, penna o pennello, per catturare una sensazione che viene condensata in quel minimo di diciassette sillabe che rapide come un fendente nella scherma colpisce il cuore e la mente del lettore. In entrambi i casi è necessario che la mente non si fermi sugli oggetti, in modo da non venirne contaminata e potendo quindi essere usata al meglio: è necessario poterla lasciare libera affinché possa correre dove vorrà. E proprio perché libera a tal punto saprà quindi cogliere con quelle poche sillabe un battito di vita dell'universo: come riporta la Dal Pra, Roland Barthes scrisse che  "l'arte occidentale trasforma l'impressione. L'haiku non descrive mai: la sua arte è anti-descrittiva nella misura in cui ogni stadio della cosa è immediatamente, caparbiamente, vittoriosamente trasformato in una fragile essenza di apparizione". Come la Luna che si riflette nelle acque dello stagno di Hirosawa, non dovremmo essere preoccupati di fermare il pensiero su un'azione, calcolandone quindi l'efficacia, quanto piuttosto riuscire ad entrare in sintonia con noi stessi, con l'universo e, nel caso dell'arte della spada, con l'avversario.
La naturalezza è quanto caratterizza tali arti, al di là di ogni classificazione o ragionamento, senza premeditazione e senza pensieri in osservazione dei tre pensieri che regolano la vita secondo naturalezza:
  • l'avanzare senza esitazioni: espressione della necessità di superare ogni blocco, sia materiale sia volitivo, e di lasciarsi andare ad un più autentico slancio di spontaneità in ogni manifestazione di vita
  • il non agire: regola di un'attenta e costante ricettività nei confronti del mondo circostante, per purificare la propria mente da ogni intenzionalità che miri al conseguimenro di qualcosa, tangibile o astratto che sia
  • la semplicità: intesa come mancanza di affettazione, propria di una naturalezza, che, per essere realmente tale, eviti ogni artificio o espediente

Così come gli haiku di Basho catturavano un attimo di natura, senza fronzoli, interpretazioni o artefatti, così come il suo pennello scorreva senza pensiero o secondi fini sulla carta per restituire al lettore quella singolare esperienza minimale, impressa in un testo preciso e fulmineo come un taglio, l'arte della spada diventa l'equivalente in altra forma della capacità di esprimere la naturalezza del gesto. E quante volte i nostri sensei si sono soffermati su questo consiglio. Camminare, inchinarsi, voltarsi, tagliare, niente di più che l'espressione di quei tre principi alla base della naturalezza che dovrebbero essere tesoro dell'artista marziale così come di qualsiasi artista, qualità da perseguire e affinare nel tempo e con l'esperienza, con la pratica e con lo studio. Non a caso la vita del samurai era basata sulle regole del bushido, la "via del guerriero", una sorta di codice cavalleresco che includeva anche regole di vita sociale, e in tempi più moderni trasformato nel concetto di budo che letteralmente significa "via che conduce alla cessazione della guerra attraverso il disarmo", caratteristica invece delle arti marziali giapponesi, tra cui appunto quella della spada. 
Arti marziali che oggi non formano più un guerriero, ma una persona che forgia il proprio carattere e il proprio cuore attraverso uno studio a tutto tondo e che, come puntualizzato durante il kangeiko CIK di Iaido del 2018 deve essere caratterizzato dalla sincerità, makoto, delle proprie azioni, come atleti, praticanti, insegnanti e soprattutto come persone in relazione con gli altri.
 [ "Makoto", calligrafia di Mikawa Sensei ]
Per illustrare quanto sia profondo il significato di makoto basti pensare che è il termine associato ad una delle sette pieghe dell'hakama, parte inferiore dell'abito tradizionale dei nobili e dei samurai e indossata ancora oggi in molte arti marziali, simile ad una gonna pantalone. Ancora una volta concetto che trova la sua controparte nella composizione poetica come forza rivelatrice traducibile come fatto che si realizza pienamente: è quella forza espressiva caratteristica di un haiku che permette di esprimere sentimenti e sensazioni senza farne diretta menzione, lasciando che fluiscano mediante un processo di suggestione che nasce, ancora prima che dalle parole, dal silenzio che le precede e le circonda. Il poeta deve abbandonare se stesso, ossia creare quel vuoto o sospensione dell'io dove ogni sensazione è viva, ma al contempo indefinita, unica ma parimenti condivisa. Abbandonare se stessi significa rivolgere altrove la propria attenzione, verso l'esterno su un soggetto concreto o un'azione, oppure diffusa e non focalizzata sul nulla: rivive quindi degli stimoli esterni e li lascia andare come l'immagine dello specchio su cui momentaneamente si fermano immagini riflesse che poi spariscono perché lo specchio non le trattiene. Secondo Basho, elemento centrale in questo processo di abbandono del sé è proprio makoto, per il cui raggiungimento esistono due vie, la pratica (poetica) e il divenire un tutt'uno con il pensiero del Maestro, per il quale makoto è al contempo un valore profondamente umano, etico e morale, intimamente legato a quella sincerità che deve guidare lo spirito del poeta durante tutto il processo creativo, magokoro, ovvero cuore sincero.
Nel cercare un parallelo tra haiku e spada ci si perde tra le sovrapposizioni, e non dovrebbe quindi stupire che le diverse arti, marziali e non, fossero alla base dell'educazione dei nobili e soprattutto dei samurai: ci si può perdere dietro allo studio dell'haiku, con i suoi mille requisiti, diversificazioni e interpretazioni tipiche delle "cose" giapponesi, codificate fino al minimo particolare, ma comunque caratterizzato da una pratica costante e continua così come per l'arte della spada, alla ricerca di se stessi e dei migliori valori morali e sociali, i cui principi sono prefettamente riassumibili nell'incipit che indica tale arte come la via della ricerca della perfezione come essere umano attraverso l’esercizio dei principi della spada.
Pennello o spada, arte o combattimento, aspetti diversi di una sola via volta al perseguimento del miglioramento continuo.




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l'inchiostro e la spada



Fonti:
- Il pennello e la spada. La via del samurai, di Leonardo Vittorio Arena
- La luna e il cancello, di Luca Cenisi
- Il libro dei cinque anelli, di Musashi Miyamoto
- Haiku, il fiore della poesia giapponese da Basho all'Ottocento, a cura di Elena dal Pra
- Collegamenti riportati nel testo, citazioni e note nei testi consultati



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