domenica 28 ottobre 2018

KENDO E INDACO, TRA PRATICITÀ E TRADIZIONE

Kendo e indaco sono strettamente legati nella tradizione giapponese e quindi nell'immaginario collettivo che associa una delle arti marziali della spada, il kendo appunto, a questo colore.
Una tra i metodi più antichi al mondo per la tintura delle stoffe, quella con l'indaco vanta una storia di oltre 1200 anni in Giappone: colorazione nota infatti anche con la definizione di blu giapponese, era usato per tingere stoffe destinate a diversi usi, come abiti da lavoro, tessuti decorativi o indumenti e armature per i samurai. 
È una colorazione che deriva da una pianta dalle molteplici qualità, tra le quali spiccano il potere antisettico, la resistenza alle fiamme e l'azione anti-odore e anti-sporco quando applicata su una stoffa, mentre è altrettanto nota l'azione anti batterica quando la stoffa, trattata e indossata sotto l'armatura, veniva a contatto con le ferite.
Questa tintura è particolarmente utilizzata per la colorazione di hakama tradizionali, i tipici pantaloni larghi giapponesi simili ad una gonna pantalone, per il dogi, l'abbigliamento utilizzato  in diverse arti marziali, per il bogu, l'armatura indossata dai praticanti di kendo o naginata, così come molti altri accessori utilizzati nelle arti maziali giapponesi: caduta in disuso nella seconda metà del 1900 è rimasta tuttavia la caratteristica colorazione degli indumenti utilizzati per la divisa dell'arte della spada giapponese.
Passato dall'essere il colore associato all'abbigliamento della nobiltà giapponese a quello per la tintura degli abiti destinati ai samurai, l'indaco è rimasto quindi una caratteristica tipica della tradizione manifatturiera dei prodotti destinati ai praticanti di arti marziali giapponesi. La risposta alla domanda perchè una stoffa costosa, per via del trattamento, dal forte odore e che stinge con il tempo sia diventata caratteristica imprescindibile nella realizzazione dei capi destinati al kendo, risiede nella tradizione, termine particolarmente caro ai giapponesi e comprensibile ai praticanti di arti marziali di tutto il mondo, in quando permette di strutturare la pratica  garantendo la qualità di quello che possono apprendere. 
Oltre alle già citate caratteristiche particolarmente importanti per i samurai, si deve anche considerare che l'indaco ammorbidisce i tessuti, specialmente il cotone, un fattore questo, passando dalla tradizione ai giorni nostri, non di secondaria importanza per i praticanti di arti marziali che indossano l'hakama.
L'hakama di cotone è spesso classificata con un numero che può variare da 5.000 a 11.000: si è spesso portati a pensare che più alto sia il numero, migliore sia la qualità, ma ciò non è completamente corretto. Tali numeri indicano le maglie della trama della stoffa, e più sottile e stretta è la trama, più fili ci sono e quindi più robusto è il tessuto. Ma più robusto è il tessuto, più questo diventa rigido, e oltre il valore di 11.000 la perdita di flessibilità del tessuto diventa uno svantaggio per il praticante: tutto ciò si riflette infine sulla sensazione relativa al peso dell'indumento, in quanto la maggior rigidità associata a numeri più alti porta alla sensazione di tale stoffa come se fosse più pesante, ed ecco la non secondaria qualità ammorbidente dell'indaco aumentare di importanza nella realizzazione degli indumenti per  i praticanti di arti marziali.
Storicamente, l'indaco era largamente disponibile ai giapponesi e aizome, la tintura con tale colore, era praticata per le realizzazione più svariate. Nel periodo Edo, il grande artista Hiroshige fece ad esempio un grande uso di diverse gradazioni del colore indaco per le sue vivide rappresentazioni di paesaggi giapponesi, e tale colorazione è così tipicamente associata a questo paese che traspare anche anche dalle opere lasciateci da Lafcadio Hearn, conoscitore e divulgatore in tema di Giappone in un tempo in cui questo era ancora esoticamente sconosciuto al mondo, i cui scritti sinceri e originali lasciano intendere quanto profonda fosse la sensazione visiva associata a questo colore: "...le piccole casette sotto i loro tetti blu, le piccole vetrine dei negozi con le loro tende blu, e le piccole persone sorridenti nei loro costumi blu ...
Tornando alla tradizione, un buon sarto giapponese che si occupi di indumenti di qualità deve conoscere le colorazioni delle stoffe per nome (vedi colori tradizionali giapponesi): nell'infinito elenco di tali definizioni, possiamo considerare quelle che caratterizzano la tintura con l'indaco, a seconda della profondità. Partendo da una stoffa bianca, la prima veloce tintura produce una leggera colorazione blu chiamata Aijiro; continuando con il processo, il passaggio successivo dona una colorazione leggermente verdognola, Asagi, poi si passa alle tonalità via via più scure denominate Hanada-iro, poi Ai-iro, per arrivare al più classico blu marino, o blu navy, che corrisponde al termine Kon, e ancora quando vira leggermente verso nuance più purpuree diventa Shikon, e infine il colore più comunemente conosciuto dai praticanti di kendo, il tipico color indaco, che assume infine il termine Noukon. 
La tonalità a metà strada tra l'indaco e il viola è chiamata Kachi-iro o Katsu-iro, il cui kanji può essere letto Kasshoku, ed essere associato ad un altro colore nella gamma dei marroni scuro, quasi un nero con riflessi violacei, colore tipico di alcuni materiali dell'epoca Edo e oggi più comunemente associato al colore dell'armatura nell'immaginario del praticante di kendo.
Il motivo per cui il colore denominato Kachi-iro è tradizionalmente e storicamente associato all'equipaggiamento da Budo, in termini un po' semplicistici alle arti marziali come il kendo, risiede in una specie di gioco di parole, in quanto Kachi-iro e Katsu-iro sono omofoni che hanno anche il significato di "colore della vittoria", diventato un termine popolare tra i samurai e quindi tra i praticanti del Budo assumendo una connotazione ben auspicale e ben presto adottato come colore predefinto per le armature. In definitiva, parte del motivo per cui la divisa da kendo, hakama e gi, e l'armatura sono tipicamente tinti con l'indaco è a causa del significato del termine Kachi-iro associato a questa particolare colorazione.
Tornando all'aizome nella sua accezione cromatica più kendoistica, la tintura con l'indaco fornisce inoltre quella particolare valenza profondamente radicata nella cultura e nel cuore dei giapponesi a causa di quella sensazione che tale colore comunica e che corrisponde al termine di wabi sabi, il senso estetico di imperfezione ed unità con la natura, che viene spesso associato alla caratteristica unica di queste stoffe di cambiare tono e vita con il passare del tempo, anche in questo caso, in maniera unica e irripetibile. Nella filosofia
giapponese questo concetto corrisponde al fatto che tutto è di passaggio ed imperfetto, negli oggetti quanto nella nostra vita quotidiana, ma non è qualcosa di spiegabile razionalmente, quanto piuttosto l'apprezzamento dell'irrazionale e dell'incompletezza, un termine associato più alla sensazione che non alla razionalità, ma che definisce la bellezza non come qualcosa di assoluto e perfetto, ma unico proprio a causa delle sue modifiche nel tempo e con l'uso, accettando i cicli naturali di crescita e decadimento.


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l'inchiostro e la spada


Fonti:
- http://setouchitrip.com/adventure-experience/2307
- https://www.greatbigstory.com/stories/the-real-blue-indigo
- http://www.blog.seidoshop.com/aizome-japanese-indigo-martial-art-equiment-nogawa/
- https://weblog.tozando.com/indigo-dye-because-the-japan-blue-has-a-scent-of-wabi-sabi/



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