lunedì 21 marzo 2022

IL DOJO FUORI DAL DOJO: REIHO


Similia similibus solvuntur. 
Il simile scioglie il simile, come ci insegna la chimica, è il modo scientifico per dire che la natura polare o meno (lipofila) di un composto determina in quale solvente possa sciogliersi, di nuovo, polare o lipofilo. Un po' come l'adagio popolare chi si somiglia si piglia.
Ma cosa c'entra la chimica con il dojo, e soprattutto fuori dal dojo?
Fondamentalmente niente, a meno di non far parte del Comitato Federale Antidoping.
Piuttosto, vorrei esporre delle considerazioni nate durante la corsa, ma che alla fine sono riconducibili agli insegnamenti delle arti marziali e tipici del dojo, e che per abitudine cerco di portare fuori da questo, nella vita quotidiana.
Purtroppo al momento non posso dedicarmi alle arti marziali e come unica attività sportiva ho (ri)cominciato a correre.
Odio correre, ho sempre odiato correre, ma meglio che niente. All'interno dell'antipatia personale profonda per questa attività sportiva, mi piace correre con il buio e senza l'ausilio di supporti elettronici, senza musica, senza niente. La profonda fatica che faccio a correre rende, per me, il momento quasi catartico, durante il quale lascio andare la mente ai suoi pensieri, senza un filo conduttore: una sorta di reset cerebrale dal lavoro, dalle fatiche quotidiane, dagli impegni, dalle preoccupazioni, un lavaggio profondo che restituisce, alla fine, serenità. E immancabilmente, si formano immagini legate alla disciplina marziale, questa volta innescate da un ricordo chimico.

Un aspetto a me particolarmente caro delle discipline marziali è il reiho, l'etichetta. Fuori dal dojo potremmo definirlo come gentilezza, correttezza, rispetto, una forma relazionale che dovrebbe qualificarci come persone civili attraverso il nostro atteggiamento.
Correndo mi capita di incontrare altre persone che svolgono la stessa attività, e un po' come succede sui sentieri di montagna, ho sempre salutato le persone che svolgono la mia stessa attività. Statisticamente, forse uno su dieci risponde al saluto, forse anche meno, spesso sono solo le persone più agée, e più frequentemente di genere femminile. La maggior parte delle persone invece sembra comportarsi come le stragrande maggioranza di quelle che incontriamo quotidianamente per strada: ognuno per sé, lo sguardo chino sul cellulare, noncuranti di quello che succede intorno, e alle quali bisogna girare intorno perché sia mai che si spostino anche quando ti stiano venendo addosso. E men che meno rispondono al saluto. E dal momento che succede anche quando le persone sono in gruppo, deve essere chiaramente un'attitudine comportamentale ritenuta universalmente corretta e normale. Evidentemente l'adagio in apertura deve avere un qualche fondamento di verità universale.
Mi ritengo una persona mediamente educata, e quindi preferisco spostarmi io piuttosto che scontrarmi con gli altri. Anche se sono carico di borse, o visibilmente provato dall'esercizio fisico, non importa: e poi, come si insegna in dojo, bisogna sempre essere pronti e presenti, e come ci ha tramandato uno dei più grandi spadaccini giapponesi, è particolarmente vantaggioso scegliersi bene il proprio terreno per il combattimento. Non vorrei essere frainteso, non cerco la rissa e non penso che un incauto sconosciuto con lo sguardo incollato sul cellulare sia un nemico da combattere, ma portando fuori dal dojo quegli insegnamenti, allora posso valutare quale sia la strada migliore, ad esempio semplicemente per cercare di non rischiare anche solo di prendermi una storta per uno scarto all'ultimo minuto scendendo maldestramente da un marciapiede. Lasciamo stare che poi, molto più fanciullescamente, le persone che incontro devo sempre lasciarle alla mia destra, ma questo è più un giocare con le immagini del mondo samurai.

Tornando alla corsa, se sono in un anello ho l'abitudine di ripetere il saluto ad ogni incrocio, un semplice cenno con la mano, quasi sempre non ricambiato. Di nuovo una sensazione tutta mia, ma la maggior parte delle persone sembra solo voler evidenziare la propria superiorità: più abili, più prestanti, più attrezzati, più tecnologici, soprattutto con più diritti di chiunque altro incontrino. Io sono certo un nessuno, ma ci tengo al reiho, e il perché gli altri, che evidentemente si ritengono superiori, non possano comportarsi in maniera civile come dovrebbe essere confacente ai "ranghi" superiori, resta per me un mistero.
Correre, cedere il passo, salutare, non porsi in puerile antagonismo su qualcosa che si stia facendo per se stessi, sono per me tutti aspetti del reiho fuori dal dojo.
E partendo da questo semplice esempio, mi è venuta la curiosità di affrontare temi simili, in una sorta di appuntamento che spero potrà essere regolare e nel quale vorrei trattare, in modo sicuramente non esaustivo, almeno alcuni degli insegnamenti e degli aspetti di base delle arti marziali tradotti nelle azioni della vita quotidiana, e nella fattispecie, durante le mie sessioni di corsa.


________
lele bo


0 comments:

Posta un commento